R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
C’è un grande chitarrista ungherese che incide dischi da circa trent’anni ma che resta conosciuto solo da un pubblico assai ristretto. Eppure questo musicista – si tratta di Ferenc Snétberger – transita attraverso i generi musicali con estrema scioltezza, ora cimentandosi con la musica classica, ora col jazz e la musica popolare brasiliana e flamenca. C’è poi anche un quartetto d’archi – il Keller Quartett – anch’esso ungherese e con una trentina d’anni di attività nel mondo della musica classica, che ha in comune con Snétberger l’attitudine alla curiosità e al desiderio di superare certi confini stilistici. Sono sempre più numerosi quei musicisti che, provenendo da mondi differenti, avvertono l’ambizione di confrontarsi con altre geografie artistiche, ma soprattutto desiderano misurarsi con se stessi, valutandosi nei generi più disparati. Gli esempi sono molti, da Friedrich Gulda a Keith Jarrett, da Nigel Kennedy a Chick Corea (ricevo, mentre scrivo, la notizia della sua morte – n.d.r.) e tanti altri ancora. Esistono poi etichette discografiche come ECM sempre pronte ad accogliere ibridazioni d’ogni tipo, purché, evidentemente, di alta qualità compositiva ed esecutiva. La molla che spinge certi artisti ad esporsi contemporaneamente su più fronti penso sia legata alla necessità di trovare nuovi spunti emozionali, di mettersi alla prova volteggiando senza rete, rischiando spesso qualcosa di proprio
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