R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Nel suo viaggio a ritroso, dall’Argentina alla Puglia terra dei nonni, Javier Girotto deve aver ritrovato l’antica cartografia delle sue origini. Una mappa sentimentale che gli ha consentito probabilmente di ampliare i propri riferimenti culturali e di sovrapporli a quelli già acquisiti dalla sua terra natale. Una nostalgica esistenza sui generis, quindi, che non si abbandona agli struggimenti ma che cerca di tatuare immagini nuove sulla pelle dei ricordi, ottenendo così, com’è stato per altri versi con gli Aires Tango, degli ibridi anfibi, pronti ad adattarsi sia alle malinconie di Cordoba che alle terre pugliesi, vivendo con la stessa intensità emotiva entrambi i luoghi. Per questo viaggio ulteriore tra Argentina e Italia del Sud, Girotto si accompagna con Vince Abbracciante, uno dei più validi fisarmonicisti presenti sulla scena europea. Insieme, uno come ombra dell’altro, scelgono una musica profondamente “semplice”, non gravata da esigenze particolarmente moderniste, tenendosi anche ai margini del jazz per vivere un folk un po’ sornione, spesso leggibile con garbata ironia, dove si ascoltano suoni mediterranei, balcanici, echi di tango, improvvisazioni piene di fuoco e di salate malinconie. La coppia Girotto-Abbracciante, in questo Santuario, procede in solitaria, concedendosi solo l’occasionale cambio dei fiati di Girotto, che si altalena tra il sax soprano, quello baritono e il flauto andino. Abbracciante, da par suo, pur lavorando solo sul proprio strumento, offre un’intensa gamma di variazioni di colori e di emozioni passando da momenti più vulcanici – che ricordano l’impeto di un altro fisarmonicista suo conterraneo come Antonello Salis – a frangenti più delicati, addolciti dalla naturale, ombrosa allegria propria della fisarmonica.
