R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Un variegato alfabeto, con qualche carattere ancora da decifrare pienamente, costituisce l’insieme delle lettere che compongono la narrazione musicale della pianista Julia Hülsmann. I registri tecnici ed espressivi sono multiformi, alle volte piuttosto melodici, in altre circostanze più inclini alla contemporaneità in un parco dissonante controllato e persino qualche pro-memoria dell’era post bop. La verità è che la Hülsmann ha da tempo selezionato i suoi partner, dopo le esperienze con vari cantanti – Rebecca Bakken, Anna Lauvergnac, Roger Cicero – e con testi di canzoni derivati dalla letteratura poetica ad opera di autori come gli americani E.E. Cummings ed Emily Dickinson. Dal 2008, anno della sua prima incisione per ECM – era la quinta uscita discografica in assoluto della musicista tedesca – notiamo la presenza fissa del contrabbassista Marc Muellbauer e quella quasi costante del batterista Heinrich Köbberling che sono entrambi le colonne portanti di questo ultimo album, The Next Door. Accanto al trio citato c’è anche la figura di Uli Kempendorff al sax tenore, che mi ha fortemente ricordato, nel suo stile sempre al limite tra l’oscuro ed il luminoso, il nostro Claudio Fasoli. La musica che emerge da questo album pare possedere caratteristiche transitorie e fuggevoli, alludendo ad una realtà cangiante, in continua mutazione, con suoni che spesso sembrano essere poco usuali, volutamente modificati a favore di una maggiore ricerca espressiva. Oltre alla dimensione pensosa – mai troppo narcisistica – del gruppo della Hülsmann, occorre sottolineare l’intesa profonda che regna tra i musicisti, maestri nel controllo delle dinamiche sonore che affrontano con passo sorvegliato. Nessun strumentista si sovrappone all’altro, i fraseggi sono in purezza, la ritmica segue ed imposta il flusso della musica anche se spesso, come già accennato, ci si aspettano risoluzioni che non vengono attuate per premiare altresì alcuni assolvimenti innovativi. Il tocco pianistico della Hülsmann è perfetto, ben calibrato – una certa componente “classica” si avverte nell’utilizzo delle microdinamiche sulla tastiera – e ci si accorge come la pianista non voglia essere una “primadonna”, non essendo interessata a corse esibizionistiche sui tasti del suo strumento ma piuttosto tenda a creare un progetto d’insieme, un amalgama coeso come cifra distintiva di questo album.
