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Matt Elliott

Matt Elliott – The End Of Days (Ici d’alleurs, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Riguardo questo ultimo lavoro di Matt Elliott, The End of Days, possiamo prendere atto di come l’emozione ne sopravanzi la struttura. Un rado accompagnamento strumentale sostiene il canto, così tenebroso che pare provenire dall’interno di un pozzo senza fondo. Eppure, rarefatta o meno, la musica, alle volte solo di una chitarra, accompagna il canto come un cane fedele il suo padrone e riesce con pochi tagli sonori a focalizzare la drammaticità dei momenti più espressivi di quest’album. Alla stregua di un Werther non più così giovane – Elliott è alle soglie della cinquantina – che resta avvolto dalla sehnsucht ben oltre l’adolescenza, il musicista britannico procede oltre il puro cantautorato, al di là del folk, alle spalle di quel dio ambiguo che un giorno, forse, deve avergli promesso l’impossibile. Ecco quindi che tutto l’arco di The End Of Days è un lungo gospel oscuro che tenta di riaccendere un’alleanza divina ormai tradita, allungandosi tra il buio e la crepuscolarità di certi madrigali cinquecenteschi, melodie mediterranee tese tra l’Andalusia e Coimbra, via via verso l’Est fino alle isole greche e ai Balcani. Pochi gli strumenti strategicamente posizionati, a volta un bandismo che ricorda i cortei funebri del meridione italico, con tanto di grancassa, ottoni e cavalli con palandrane nere, poi una chitarra classica ben pizzicata, un sax che sembra suonato da un Albert Ayler in versione folk-song, qualche nota sparsa di piano e violoncello.

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Matt Elliott – Farewell to All We Know (Ici d’ailleurs, 2020)

R E C E N S I O N E


Recensione di Letizia Grassi

Una volta i poeti, prima di iniziare la stesura dei loro testi, invocavano le muse, custodi di antiche memorie. Ad esse si ispiravano e ad esse dedicavano le loro parole, che rappresentavano la necessaria introduzione all’opera. Allo stesso modo, What Once Was Hope è l’ouverture di Farewell to All We Know. Matt Elliott, ha deciso che per il suo nuovo album dovesse essere proprio la musica a cominciare a parlare. Nient’altro. Pochi accordi di una chitarra segnano l’inizio di un racconto lungo 43 minuti. Cercate la posizione più comoda, chiudete gli occhi e lasciate che la fantasia cominci la sua danza.
Ogni traccia lascia un’impronta. Ciascuna nota disegna una storia. La strabiliante abilità di Elliot è quella di lasciare poco spazio alle parole, affinché sia la melodia a condurre. E, anche quando la voce interviene, il suono ne segue il percorso, ritmicamente e dolcemente, per poi sfociare in una meraviglia musicale ed armonica che prende il sopravvento, ti avvolge, ti eleva e ti conduce lontano.

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