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Federico Casagrande

Vincent Peirani – Jokers (Act Records, 2022)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Vincent Peirani, ovvero l’eclettico. Il costruttore di reticoli melodici inaspettati, lo sperimentatore “gentile” a cui piace pescare idee in territori sempre diversi, anche lontani dalla sua mentalità di navigato jazzista. Alla ancor fresca età di 42 anni Peirani si butta a capofitto in una costruzione “a trois” come quella che edita questo nuovo disco, Jokers. Ma in questa circostanza, con la sua fisarmonica, imbastisce una formazione anomala, insieme al chitarrista italiano Federico Casagrande – lo ricordiamo, oltre che per i suoi lavori da titolare, anche per le numerose collaborazioni, ad esempio con Francesco Bearzatti ed Enrico Pieranunzi tra gli altri – ed al batterista israeliano Ziv Ravitz, nome poco conosciuto ma che ha all’attivo diverse partecipazioni con gente come Joe Lovano, Lee Konitz, Avishai Cohen. Fisarmonica dunque, insieme a chitarra e batteria. Ma che tipo di jazz si può suonare con una formazione non canonica come questa? In Jokers ci sono molte influenze rock, pop, tradizionali e tre “omaggi” dichiarati a Marilyn Manson (!!), all’autrice britannica Bishop Briggs ed ai Nine Inch Nails. L’impressione è che la conformazione jazz, più che in prima linea, sia rimasta tra le quinte, come un regista teatrale che controlli seminascosto lo svolgimento della sua opera. Anzi, il sospetto che l’improvvisazione sia minoritaria, in questo lavoro, si fa strada proprio perché la struttura musicale sembra molto studiata, più affidata alle partiture che non all’estro estemporaneo dei musicisti. Questo però non toglie nulla al valore complessivo dell’album, eccitante e divertente, per molti versi spiazzante ma che dimostra il volitivo desiderio di Peirani di mantenere ferma la direzione della sua strada, aperta a millanta influenze, senza farsi condizionare da stereotipi o peggio ancora dall’abitudine. Un percorso quasi visionario, comunque assai ricco di spunti fantastici e sottintese simbologie.

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Francesco Bearzatti – Portrait of Tony (Parco della Musica Records, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

C’è chi considera la ricerca del “senso della vita” una prigione mentale, una delle tante che l’Uomo si costruisce beandosi poi di abitarla. Così almeno la pensava l’intellettuale indiano Krishnamurti. C’è chi invece, come lo psicoanalista C.G.Jung, sostiene il contrario, per cui l’individuo veramente liberato è colui che insegue il vero sé stesso, trovando la propria essenza al di là di tutte le maschere sociali e personali che abitudinariamente indossa. Non so come la pensi Francesco Bearzatti a proposito, ma ho l’impressione che il suo metodo di ricerca sia assolutamente peculiare. Abituato a tracciare in profondità il profilo musicale di artisti dalle personalità multiformi – Tina Modotti, Malcom X, Woody Guthrie, John Coltrane o creature di fantasia come Zorro – oggi lo vediamo concentrare lo sguardo sul leggendario Tony Scott, il grande clarinettista italo-americano scomparso a Roma nel 2007. Forse, attraverso il proprio “sentire”, Bearzatti accarezza le storie personali, il carattere, le complessità individuali dei suoi “omaggiati” ed è per mezzo di loro che egli cerca di chiarire sé stesso, elaborando il tutto come uno specchio concavo che focalizzi al centro le riflessioni, i pensieri, i progetti e i sogni altrui. Per capire chi era Tony Scott al di là della sua musica, è molto utile vedere il docu-film di Franco Maresco che trovate su YouTube,“Io sono Tony Scott”. Il film ci mostra, direttamente o attraverso le interviste fatte a familiari e a musicisti americani e italiani che ebbero a che fare con lui, i lati più inquieti del suo carattere, un narcisismo esasperato, sfumato da comportamenti paranoidi e dalla gran paura di non essere valutato per ciò che è stato veramente, un musicista che ha fatto la storia del jazz.

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