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Francesco Del Prete – Cor cordis (Dodicilune, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

La focalizzazione dello sguardo creativo del violinista Francesco Del Prete si concentra sul titolo del suo ultimo album, Cor Cordis, nel quale si allude a un livello di realtà “oltre la realtà”, mirando al cuore dei sentimenti, al di là del mondo dell’apparenza. Cosa c’è sotto il velo di Maya? Del Prete, da artista, non si perde giustamente in elucubrazioni filosofiche-scientifiche ma cerca di colpire nel profondo l’ascoltatore, almeno nelle intenzioni. Esponendosi con il suo gruppo in una musica eclettica, piena di suggestione, propone una trama sonora variopinta e intessuta di numerosi riverberazioni interculturali. La prima impressione che ho avvertito, concentrandomi su questo Cor Cordis è quasi quella di un ”ritorno a casa”, cioè verso molte di quelle sonorità progressive che da ragazzi ci riempivano le giornate. Non nascondo che mi son venuti alla memoria ricordi della Mahavishnu Orchestra, di Jean-Luc Ponty, di David La Flamme fino ad arrivare persino a certi lavori degli Area.o dei Renaissance. Ci sono anche gli imprinting dovuti alla musica classica, come nel bellissimo SpecchiArsi, dove si possono cogliere spunti cameristici del primo ‘900. E, naturalmente, c’è molto jazz. Non quello che conosciamo del mainstream – qui troviamo poco bebop e solo un  pizzico di swing – ma invece una visione moderna di quel jazz che volente o nolente, insieme al rock, è stata la più diffusa e masticata musica “colta” dagli anni ’70 fino ad oggi. Un tempo lo si chiamava jazz-rock, ora giustamente gli stimoli e le influenze si sono moltiplicate, stratificate, e quell’attribuzione, oggi, sarebbe scorretta e limitante, soprattutto per la musica di Del Prete. Ci troviamo di fronte, invece, ad un lavoro pieno di tante risorse diverse, da momenti trascinanti ad altri più meditativi e lirici.

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Irene Scardia – Una stanza tutta per me (Workin’ Label, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Quasi un lavoro in famiglia, si potrebbe dire, parlando di questo album di Irene Scardia, Una stanza tutta per me. Sua è l’etichetta per cui esce il disco e suoi i due figli che l’accompagnano in questa avventura sonora. Anche il giardino segreto le appartiene, la “stanza tutta per sé”, cioè la necessaria dimensione personale e solitaria in cui poter tranquillamente dedicarsi alle proprie creazioni artistiche. Facendo riferimento ad un saggio di Virginia Woolf pubblicato nel 1929 – A room of one’s own – la Scardia ribadisce di trovarsi idealmente sulla stessa lunghezza delle “onde” della grande scrittrice britannica. La Woolf, infatti, anticipando di circa un ventennio la teoria della piramide di Maslow, faceva notare come la libertà intellettuale avesse necessità di un certo, basilare, soddisfacimento materiale affinchè la Poesia potesse svincolarsi dalla dittatura del bisogno.
Con una giovinezza dedicata all’Arte tra danza, teatro e musica, questa pianista salentina ha trovato il tempo anche per diventare imprenditrice in campo musicale, fondando l’etichetta discografica Workin’ Label e producendo non solo sé stessa ma anche un buon numero di  interessanti artisti – consiglio una sbirciatina sul link www.workinprodizioni.it n.d.r – Mettiamo subito in chiaro che Scardia non è una jazzista propriamente detta ma si serve di questa impronta stilistica per arricchire il suo pianismo lirico, morbido e molto melodico.

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