R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
La focalizzazione dello sguardo creativo del violinista Francesco Del Prete si concentra sul titolo del suo ultimo album, Cor Cordis, nel quale si allude a un livello di realtà “oltre la realtà”, mirando al cuore dei sentimenti, al di là del mondo dell’apparenza. Cosa c’è sotto il velo di Maya? Del Prete, da artista, non si perde giustamente in elucubrazioni filosofiche-scientifiche ma cerca di colpire nel profondo l’ascoltatore, almeno nelle intenzioni. Esponendosi con il suo gruppo in una musica eclettica, piena di suggestione, propone una trama sonora variopinta e intessuta di numerosi riverberazioni interculturali. La prima impressione che ho avvertito, concentrandomi su questo Cor Cordis è quasi quella di un ”ritorno a casa”, cioè verso molte di quelle sonorità progressive che da ragazzi ci riempivano le giornate. Non nascondo che mi son venuti alla memoria ricordi della Mahavishnu Orchestra, di Jean-Luc Ponty, di David La Flamme fino ad arrivare persino a certi lavori degli Area.o dei Renaissance. Ci sono anche gli imprinting dovuti alla musica classica, come nel bellissimo SpecchiArsi, dove si possono cogliere spunti cameristici del primo ‘900. E, naturalmente, c’è molto jazz. Non quello che conosciamo del mainstream – qui troviamo poco bebop e solo un pizzico di swing – ma invece una visione moderna di quel jazz che volente o nolente, insieme al rock, è stata la più diffusa e masticata musica “colta” dagli anni ’70 fino ad oggi. Un tempo lo si chiamava jazz-rock, ora giustamente gli stimoli e le influenze si sono moltiplicate, stratificate, e quell’attribuzione, oggi, sarebbe scorretta e limitante, soprattutto per la musica di Del Prete. Ci troviamo di fronte, invece, ad un lavoro pieno di tante risorse diverse, da momenti trascinanti ad altri più meditativi e lirici.

L’impressione non è quella di un desktop sovraffollato di icone ma piuttosto quella di un’interfaccia con una grande biblioteca musicale in cui ogni selezione sia soddisfacente ed esaustiva. Il violino suonato da Del Prete, oltre a saper fare molte cose diverse, possiede anche una corda in più rispetto ad uno strumento analogo. Quest’ultima in aggiunta è accordata una quinta sotto rispetto a quella normalmente più bassa. È curioso come i musicisti ultimamente, soprattutto i più “giovani” cerchino di apportare modifiche ai propri strumenti, in generale aggiungendo o togliendo elementi, elettrificando e sovrapponendo le registrazioni, servendosi di loop machines, preparando pianoforti o cercando accordature differenti, come ad esempio nel caso appunto del violino “rinascimentale” di Adam Baldych – trovate la recensione del suo ultimo disco qui su Off Topic. La band che accompagna Del Prete si compone di Lara Ingrosso (Arale) agli interventi vocali, Anna Carla Del Prete al violoncello, Diego Martino alla batteria, Emanuele Coluccia al sax soprano, Filippo Bubbico al synth e Gaetano Carrozzo al trombone.
Gemini, il primo brano dell’album, esordisce con una sorta di danza molto ritmata che ha qualcosa di medioevale e festoso nell’approccio, ponendo il violino subito in evidenza. Quando entra la band lo strumento di Del Prete viene sovra inciso in diverse tracce, dove il violoncello appunta inizialmente qualche passaggio melodico, per poi inserirsi compiutamente nell’insieme. Alla comparsa del violino con una sorta di wah-wah elettronico si ha la netta percezione dell’intervento di una chitarra, simulata anche con un certo impatto aggressivo. Il senso compiuto del brano è comunque quello di una celebrazione della potenza naturale, un ballo pieno di brio ed effervescente vivacità ad omaggiare la ciclicità della Physis. Lo Gnomo succede con un incedere ironico sostenuto dalle note del trombone che aggiungono al brano un certo spiritoso swing. Anche in questo caso, come succederà in maniera costante, le sovra incisioni di violino servono a dare corpo alla struttura musicale e a rendere più materica la sostanza dei brani. Un pizzicato pieno di echi è l’esordio del violino in Il Teschio e la Farfalla dove Del Prete crea una melodia a zig-zag che ricorda il volo un po’ caotico di un lepidottero. Poi il violino si diverte in una serie di escursioni sulle note alte prima e pizzicate in un secondo tempo, sotto di cui il violoncello si occupa di rimarcare i bassi. L’andamento è quasi sinfonico, a tratti, per merito soprattutto dei violini sovra incisi che creano l’impressione di una piccola orchestra d’archi. Nell’Alveare ci sono api che ronzano il linguaggio del be-bop a ricordarci che di jazz Del Prete ne deve aver ascoltato molto… Compare qui anche il fluido sax di Coluccia che si scava uno spazio tutto suo tra le escursioni generose di Del Prete.

Con L’inganno di Nemesi si allude alla dea greca della giustizia nel senso della equità – Dike ne rappresenta invece l’aspetto giuridico. La traccia si fa complessa, molto ricca di suoni, con un violino che gioca su effetti e sinuosità che ricordano elementi orientali. Un base sonora reiterata, ottenuta da una sovrapposizione di pizzicati e forse da una partecipazione di synth con alcuni elementi percussivi, mi ha ricordato qualche spunto di Glass o di Terry Riley. Il brano ha, in definitiva, un fascino che oscilla tra il Mediterraneo e l’estremo Oriente. Acido Balkaniko si snoda sopra un tempo complesso, quasi un esercizio tecnico e di stile, nobilitato dall’intervento vocale di Lara Ingrosso che impressiona non solo e non tanto per l’estensione della voce ma quanto per l’intonazione precisissima su una melodia quasi impossibile da cantare. La Ingrosso ci offre qui una dimostrazione di tecnica vocale notevole e ruba la scena – per una volta – al violino. SpecchiArsi, come già accennato all’inizio, è a mio parere il brano migliore dell’album. Al di là del doppio senso spiazzante del titolo – uno specchio che arde è un potente segnale simbolico – violoncello e violini sovrapposti cerano un raffinato ensemble da camera, molto suggestivo, sul quale viene poi a sovrapporsi la parte ritmica. Melodia struggente e solida armonia rendono il tutto degno di nota. L’attrice svela una certa tristezza di fondo, è un passo d’introversione più accentuato verso sé stessi. Il femminile del titolo non ha un sesso esplicito. È un’inquietudine, una riflessione nostalgica, forse un desiderio mai avverato o semplicemente una memoria. Cos’è, alfine, un ricordo se non un ritorno al cor, la sorgente dell’emozione degli antichi? La potente percussione – o effetto elettronico percussivo – che si ascolta un paio di volte e che soprattutto risalta nel finale è forse l’improvviso, inaspettato ma necessario ritorno alla realtà. Tempo ha una serie di effetti di fondo che rammentano il ticchettio di un orologio e quindi lo scorrere delle ore. Il violoncello scandisce la sua inesorabilità con la drammaticità delle note più basse. Una sovrapposizione di voci accentua il senso dell’ineluttabile divenire. Lacci è anche il soundtrack del video promozionale e francamente non aggiunge nulla di più alle considerazioni precedenti.
Bell’album, vitale, generoso, che testimonia la volontà prorompente – a tratti pure troppo – di Del Prete di farsi sentire e giustamente apprezzare per le sue doti compositive ed esecutive. Un ultimo accenno all’etichetta Dodicilune che da quasi trent’anni più o meno è una delle realtà più incidenti della musica italiana, per cui ogni sua nuova uscita è sempre un piacere in più per noi appassionati.
Tracklist:
01. Gemini
02. Lo gnomo
03. Il teschio e la farfalla
04. L’alveare
05. L’inganno di Nemesi
06. Acido BalKaniKo
07. SpecchiArsi
08. L’attrice
09. Tempo
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