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JazzSick Records

Sebastian Gahler – Two Moons (JazzSick Records, 2022)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Così come l’acqua e il vento modellano negli anni la Natura, allo stesso modo anche i racconti, soprattutto se d’autore, possono modificare nel corso del Tempo l’animo umano. È il caso, ad esempio, dello scrittore giapponese Haruki Murakami e del pianista e compositore jazz Sebastian Gahler. Le storie dall’impronta fiabesca dello stesso Murakami pare abbiano lasciato un’impronta indelebile in Gahler, a tal punto da spingerlo a realizzare un intero disco, questo Two Moons, che già dal titolo rimanda alla famosa opera 1Q84, ispirato al romanzo di Orwell 1984. Se vogliamo, questo tributo musicale allo scrittore giapponese, compensa l’amore che Murakami porta verso il jazz e così, in qualche modo, il cerchio si chiude in questo duplice scambio tra musica e letteratura. Gahler è originario di Dusseldorf, è arrivato al suo quarto disco – escludendo un E.P. con Mark Wyand uscito nel 2012 – e anche se non sembra molto conosciuto in Italia, da tempo viene considerato un musicista serio ed apprezzato in tutto il resto dell’Europa. Two Moons non ha niente di specifico che possa far pensare, nell’ascolto, ai racconti di Murakami. Si tratta di un jazz che si muove agilmente all’interno di una corrente più tradizionale – leggi mainstream – ottimamente suonato da “veri” jazzisti e che non ha alcuna pretesa d’avanguardia ma solo il fine di produrre una musica materica e terrigna, nonostante i riferimenti ai racconti favolistici di Murakami. L’impressione globale rimanda alla memoria certi dischi di hard-bop degli anni ’60 – mi sono venuti alla mente alcuni lavori di Horace Silver – dove molto risalto è dato al sax – tenore e soprano – di Denis Gabel che spesso “ruba” la scena allo stesso Gahler, autore di un pianismo brillante a mezza strada tra Hancock e Rubalcaba da un lato ma anche vicino ad armonie più ariose come quelle di un John Taylor, ad esempio. Sempre misurato ma spigliato e preciso nei suoi interventi solistici, Gahler si presenta in un quartetto tutto nuovo, con il già citato Denis Gabel al sax, Matthias Akeo Nowak al contrabbasso, Ralf Gessler alla batteria e in aggiunta viene ospitato il trombettista Ryan Carniaux.

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Simone Gubbiotti | Christian Pabst – Encounter (JazzSick Records, 2022)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Un album in moto perpetuo, questo di Simone Gubbiotti & Christian Pabst, che procede senza ansie né inquietudini. Encounter si rivela in tutta la sua chiarità di opera intensa ed elegante, “semplice” nella sua scrittura ben assimilabile, senza arzigogoli sovrastrutturali, in cui chitarra e pianoforte appaiono per quello che sono, due strumenti “portanti” utilizzati nel modo più armonico e naturale possibile. Una marcata dolcezza d’intenzioni sta alla base di queste costruzioni musicali caratterizzate da un continuo confronto musicale dialogico, in cui i due musicisti vicendevolmente si compenetrano quasi in un unico, lineare flusso melodico. Del chitarrista Gubbiotti c’eravamo già occupati a lungo e volentieri recensendo il suo precedente album #Underdogs – potete trovare la nostra opinione qui. Non posso far altro che ribadire il carattere accanito e sfaccettato di questo musicista che ormai ha trovato una sua dimensione stabile, un suono collaudato – anche se la timbrica del suo strumento non si discosta molto dalla tipica nuance “brunita” di molti chitarristi jazz più tradizionali. Pabst è invece un pianista non ancora quarantenne, di origini tedesche ma trasferitosi da due anni a Perugia, che se non ricordo male, è anche la città in cui risiede Gubbiotti. Realizzando quindi un percorso contrario a quello che fanno molto nostri concittadini, forse anche ispirato – potremmo ben dirlo – dalla storica bellezza della città, Pabst giunge come musicista alla pubblicazione del quinto disco della sua carriera come titolare e co-titolare – in realtà come sideman è comparso in oltre una decina di pubblicazioni – proprio in coabitazione strumentale con Gubbiotti. Il suo è un pianismo eclettico e compiuto, colmo di sentimento e di trasparenze, molto probabilmente influenzato da studi classici, almeno a giudicare dal suo tocco netto e pulito sulla tastiera. Ascoltare questa coppia di artisti significa decentrare lo sguardo da certe ectoplasmiche evoluzioni dissonanti alla moda contemporanea per focalizzare invece l’attenzione sulla materia tangibile della musica, dove anche l’improvvisazione ha un proprio senso costruttivo e la melodia non si fa mai sfuggente.

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