R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Così come l’acqua e il vento modellano negli anni la Natura, allo stesso modo anche i racconti, soprattutto se d’autore, possono modificare nel corso del Tempo l’animo umano. È il caso, ad esempio, dello scrittore giapponese Haruki Murakami e del pianista e compositore jazz Sebastian Gahler. Le storie dall’impronta fiabesca dello stesso Murakami pare abbiano lasciato un’impronta indelebile in Gahler, a tal punto da spingerlo a realizzare un intero disco, questo Two Moons, che già dal titolo rimanda alla famosa opera 1Q84, ispirato al romanzo di Orwell 1984. Se vogliamo, questo tributo musicale allo scrittore giapponese, compensa l’amore che Murakami porta verso il jazz e così, in qualche modo, il cerchio si chiude in questo duplice scambio tra musica e letteratura. Gahler è originario di Dusseldorf, è arrivato al suo quarto disco – escludendo un E.P. con Mark Wyand uscito nel 2012 – e anche se non sembra molto conosciuto in Italia, da tempo viene considerato un musicista serio ed apprezzato in tutto il resto dell’Europa. Two Moons non ha niente di specifico che possa far pensare, nell’ascolto, ai racconti di Murakami. Si tratta di un jazz che si muove agilmente all’interno di una corrente più tradizionale – leggi mainstream – ottimamente suonato da “veri” jazzisti e che non ha alcuna pretesa d’avanguardia ma solo il fine di produrre una musica materica e terrigna, nonostante i riferimenti ai racconti favolistici di Murakami. L’impressione globale rimanda alla memoria certi dischi di hard-bop degli anni ’60 – mi sono venuti alla mente alcuni lavori di Horace Silver – dove molto risalto è dato al sax – tenore e soprano – di Denis Gabel che spesso “ruba” la scena allo stesso Gahler, autore di un pianismo brillante a mezza strada tra Hancock e Rubalcaba da un lato ma anche vicino ad armonie più ariose come quelle di un John Taylor, ad esempio. Sempre misurato ma spigliato e preciso nei suoi interventi solistici, Gahler si presenta in un quartetto tutto nuovo, con il già citato Denis Gabel al sax, Matthias Akeo Nowak al contrabbasso, Ralf Gessler alla batteria e in aggiunta viene ospitato il trombettista Ryan Carniaux.

Il primo brano dell’album è Kafka Tamura, il personaggio protagonista del romanzo di Murakami Kafka sulla Spiaggia (2002). Un inizio che più classico non si può, con il raddoppio in sincrono di un riff di contrabbasso e di pianoforte e l’atmosfera resa latineggiante soprattutto dalla percussività di Gessler alla batteria. Interviene autorevolmente il sax di Gabel, un fraseggio pulito e moderatamente aggressivo che mi ha ricordato Eric Alexander. Quando è la volta di Gahler si avverte la padronanza tecnica, la convinzione e la sicurezza ben espresse sulla tastiera. Coda al rallenty con mutazione in jazz ballad, archetto sul contrabbasso e decompressione strumentale. Girlfriend with Magical Ears è l’occasione per fare un giro nella memoria del repertorio Blue Note con immersione nell’hard-bop fino al collo, approfittando della presenza della tromba di Carniaux che raddoppia il suono del sax ed in molti punti lo armonizza con una seconda voce. Swing e le ombre lunghe del blues ammiccano tra le pieghe di questo brano e sovrappongono una gradevole patina vintage all’intera composizione. Two Moons non ha certo intenzione d’illanguidirsi alla luce di una o due lune e le iniziali note di sax mettono in chiaro come stanno le cose. Il brano parte leggermente piu moderato ma ciò non inganni l’ascoltatore perchè si tenderà ad accelerare di lì a poco. Il contrabbasso e la batteria sono le rotaie su cui ritmicamente s’incanala l’esplosivo tenore di Gabel e il piano rubalcabiano di Gahler che si cimentano in lunghi assoli molto tecnici e stringenti. Davvero una bella prova di solismo per entrambi questi due musicisti. Tengo rallenta un po’ e si annuncia con qualche nota delicata di piano che prelude al tema svolto, questa volta al sax soprano, sempre dal fiato di Gabel. Il brano si concede qualche momento di meditazione in più, optando per una bellezza “sbarazzina” – si fa per dire – e mantenendo una linea melodica ben riconoscibile. Gli spazi tra gli strumenti aumentano di volume, tutto si dilata maggiormente almeno fino al bellissimo solo di batteria di Gessler che tuttavia non straborda e accompagna il brano alla progressiva chiusura. Con Naoko, uno dei personaggi femminili del malinconico romanzo di Murakami Norvegian Wood, il quaretto di Gahler si cimenta nella jazz ballad con un tema ben scandito all’unisono dal contrabbasso e dalle note più gravi del piano. Il sax è condotto very softly come si conviene in una ballata incentrata su una storia d’amore finita maluccio. Anche la tastiera di Gahler distilla le proprie note con cura, senza però impedirsi di mostrare qualche scala in velocità. Ascoltiamo finalmente anche un assolo di contrabbasso, fino ad ora non in primissima linea, melodioso ma non melenso – come può, del resto, esserlo un contrabbasso??. Il brano che scorre lento è molto elegante e raffinato e dimostra tutto il mestiere e la partecipazione del quartetto, tra prelibatezze timbriche e una narrativa melodica da manuale. Aomame riporta l’asse terrestre alla sua inclinazione originale, cioè al grado dell’hard-bop più brillante con l’unisono di sax e tromba come ai bei vecchi tempi. Un lampeggiante incremento ritmico spinge gli strumenti ad un continuo movimento tra cui spicca l’assolo di tromba e la serie consequenziale di stacchi e frammenti combinati tra batteria, contrabbasso e pianoforte verso il finale.

Norvegian Wood è il titolo che gioca in contemporanea sia col romanzo di Murakami sia con l’arcinota song beatlesiana. La versione di Gahler si basa sul “trucco” della armonizzazione pianistica per quarte che incide, all’interno della melodia conosciuta, con quella sottile sensazione dissonante che fa tanto sonorità jazzy. Il pianista, nel contesto di una scelta ritmica moderata, usa quest’accorgimento con molto gusto e senso della misura mentre il tocco coltraniano del sax soprano ribadisce la melodia del tema. Gli assoli di Gahler sono sempre nitidi, non c’è mai trash sonoro e l’equilibrio raggiunge i livelli di una quieta serenità percettiva. Colonel Sanders si dispone in due tracce separate di cui la prima, molto breve, è un preludio introdotto da un giro di contrabbasso. La seconda traccia, più completa, ci riporta ancora nei territori della ballad dove i musicisti eseguono con rilassatezza le loro parti “bluesate”, a luci basse innescando la seduzione di una musica velatamente fosca di fumo – almeno come si presenta nell’immaginario più classico. In Menshiki, pur abbandonando l’intimità da locale notturno, la tensione del brano si mantiene nell’ordine di una certa moderazione. Torna il sax tenore con le sue note più calde che riempie di fioriture e scale l’economia del brano, a cui risponde il piano con il suo solito incedere fluido. Una riflessione a cuore aperto ci propone una musica che anche se non originale si fa apprezzare per la sua finezza e vitalità – ascoltate, a tal proposito, l’accelerazione percussiva sul finale. Crow registra l’utilizzo del piano elettrico al posto di quello acustico e la memoria corre all’Hancock del periodo jazz-rock. Un lungo assolo di contrabbasso s’insinua tra le maglie ritmiche organizzate semplicemente dalla batteria che suona un 4/4 vicino ai territori del rock-fusion, mentra anche il sax si adatta al clima più semplificato di questo finale di partita.
Il quartetto di Gahler, mi sembra di capire, si è ispirato più sentimentalmente allo spirito dello scrittore Murakami piuttosto di trarre ispirazione tout-court dai racconti e dai personaggi. Quasi come se i titoli dati alle varie tracce fossero stati apposti in un secondo tempo, a brani già composti. Quello che conta è però la qualità totale della musica, molto alta e molto professionale. Certo non c’è nulla, tra queste note, che si allontani anche solo di un grado dalla tradizione. La devozione al jazz “classico” è quasi commovente ma il rischio di queste operazioni di alta scuola mainstream potrebbe essere quello di relegarle, in un prossimo futuro, in una sorta di riserva indiana di sonorità, anche alla luce di tutte le trasformazioni che stanno avvenendo nel jazz sia in USA che nel resto dell’Europa.
Tracklist:
01. Kafka Tamura
02. Girlfriend with Magical Ears
03. Two Moons
04. Tengo
05. Naoko
06. Aomame
07. Norwegian Wood
08. Colonel Sanders – Prologue
09. Colonel Sanders
10. Menshiki
11. Crow
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