R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Una specie di pactio secreta dev’essere stata stipulata tra Julian Lage – quattordicesimo disco da titolare, escludendo l’Ep Live in Los Angeles del 2017 – e il leggendario Bill Frisell. Entrambi chitarristi eccellenti, i due hanno già tracciato un percorso comune, non tanto e non solo per alcune esibizioni live ma soprattutto per essere stati entrambi alla corte di John Zorn contribuendo alla realizzazione del suo Virtue (2020). In effetti Lage e Frisell mi sembrano a tratti perfino intercambiabili e se non fossi quasi certo che per ragioni di psicoacustica, in questo ultimo disco View With A Room, la chitarra di Lage sia stata posizionata nel canale centro-sinistro dell’immagine stereo, potrei avere qualche difficoltà nel reciproco discernimento dei due strumentisti. Ma chi è Julian Lage e come è arrivato fin qui? La sua storia artistica non è certo tra le più comuni perchè è quella di un ragazzino-prodigio nato in California 35 anni fa, che all’età di otto (8!!) si esibisce con Carlos Santana, Pat Metheny, Toots Thielemans e quando compie quindici anni si trova a far l’insegnante di jazz alla Stanford University, venendo reclutato l’anno dopo da Gary Barton per collaborare giustappunto con il grande vibrafonista. Tra i suoi riferimenti musicali alcuni sono abbastanza ovvi, ad esempio il suono “volatile” – è una definizione dello stesso Lage – di Charlie Christian, il rimarchevole e duttile fraseggio di Jim Hall e lo stesso Frisell da cui è stato, secondo me, parecchio influenzato – ascoltate il suo precedente lavoro Squint del 2021 per averne conferma. Ma inaspettatamente Lage ammette anche di avere subito il fascino di un grande chitarrista classico come Julian Bream – e talora ne ha lasciato testimonianza per esempio in 40’s su World’s Fair del 2015 – e di essere stato pure influenzato da pianisti come Hersch e Jarrett. Comunque sia Lage si trova sullo stesso pianeta abitato anche da Frisell e questo album ne è la prova lampante. Nè l’uno né l’altro potrebbero essere definiti dei “puri” chitarristi jazz ,essendo stati attratti in parecchie circostanze dal blues, da qualche assonante simpatia con Chet Atkins o ancora da evidenti riflessi country-rock. Ma ognuna di queste circostanze diversificanti non lavora come limite bensì come innesco per ulteriori mulinanti fantasie, arricchendo questa musica di magnetiche discorsività che si spingono un passo innanzi – o indietro? – al jazz. Senza troppe cerimonie Lage insegue la sua idea di allargare il trio già collaudato nel precedente Squint formato da Jorge Roeder al contrabbasso e Dave King alla batteria – già membro fondatore dei Bad Plus – includendo una seconda chitarra come quella appunto di Frisell. L’intreccio che ne risulta è avvincente e si rende piacevole attraverso una scrittura essenziale, ben calibrata, riuscendo ad esprimere una sensualità avvolgente, un verbo elettrico molto “aereo” e rigorosamente consonante.
