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Linda Sikhakhane

Linda Sikhakhane – Isambulo (Ropeadope Records, 2022)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Sono pronto a sottoscrivere che le novità migliori, per quel che riguarda il jazz extraeuropeo, provengono attualmente da Chicago e dal Sud Africa. Non ne conosco le motivazioni intrinseche, ma se si vuole ascoltare del buon jazz contemporaneo, senza cadere nei gorghi cacofonici dello sperimentalismo estremo, ci si deve rivolgere attualmente alla Windy City dell’Illinois oppure all’estremo sud dell’Africa. Prendiamo per esempio questo sassofonista tenore, Linda Sikhakhane – il nome gentile non tragga in inganno, non si tratta di un’eterea fanciulla ma di un robusto ragazzone con tanto di pizzetto alla Gillespie – che avevamo notato nel bel disco di Nduduzo Makhathini, la cui recensione, se non la ricordate, la troverete qui su Off Topic. Cos’ha Sikhakhane tanto da meritare la nostra attenzione? Innanzitutto non si tratta di un esordio, perché il nostro musicista è al suo terzo disco. Ma questo ultimo, Isambulo, che nella lingua madre IsiZulu di Sikhakhane significa “Rivelazione” è stato inciso in Europa, per la precisione a Basilea, con una partecipazione importante di musicisti svizzeri. La costante che accomuna quasi tutti i jazzisti sudafricani è la loro attenzione verso la dimensione spirituale, rafforzata da componenti di natura filosofica-religiosa. In un’intervista a 702 Primedia Broadcasting, una nota stazione radio africana il cui Podcast è facilmente raggiungibile in Rete, Sikhakhane cerca di spiegare alla conduttrice che la Rivelazione, cioè la consapevolezza della propria natura umana, può passare attraverso la musica e che i suoni servono appunto ad aiutare a raggiungere questo obiettivo. Quello che in altri termini, cioè, secondo il pensiero occidentale di C.G. Jung, viene definito come ricerca del Principio d’Individuazione del proprio sé. Che tutto ciò sia realmente fattibile o che rimanga a livello di ipotetica speranza, resta comunque un dato obiettivo ed incontrovertibile. La Musica di Sikhakhane è qui per essere ascoltata, in quel pastoso miscuglio tra matericità sonora e risonanze dell’anima che sono il frutto di una ricerca, armonica e quindi spirituale, operata dall’Autore e da tutti i musicisti che collaborano con lui. Si ascolta molto Coltrane, tra le righe espressive di Sikhakhane, e questa influenza è talora palese, come accade nel brano di apertura di Isambulo, mentre altre volte emerge maggiormente un’autonoma personalità artistica. Questa si è costituita inizialmente in Sud Africa ma si è venuta poi a perfezionare a New York con maestri del calibro del trombettista Charles Tolliver – toglietevi la soddisfazione di ascoltarlo nel suo Connect del 2020 – e del sassofonista Billy Harper, uno tra i maggiori “corresponsabili” dell’influenza coltraniana di Sikhakhane.  

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Nduduzo Makhathini – In The Spirit Of Ntu (Blue Note Africa, 2022)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Un’interpretazione anticonvenzionale del jazz passa per l’inquieta wanderlust che coglie ogni appassionato viaggiatore – anche solo con l’immaginazione –  attraverso tutte quelle regioni del mondo in cui si fa musica utilizzando linguaggi inusuali. Da parecchi anni il Sudafrica offre lo stimolo alle sue variegate voci, dai tematismi caldi di denuncia civile – Miriam Makeba – alla poesia intimista di artisti seminali – Abdullah Ibrahim – alle nuove leve emergenti – Malcom Jiyane – e questi sono solo alcuni dei primi nomi che vengono in mente. Spulciando le note stampa di accompagnamento del pianista Nduduzo Makhathini scopro accanto ai prevedibili titoli professionali – musicista, compositore, improvvisatore –  anche un curioso attributo, quello di “guaritore”. A meno che il termine inglese “ healer ” non abbia altri significati che purtroppo non conosco, devo dire che questo sostantivo mi ha sorpreso. Che la musica, dai tempi di Orfeo, abbia possibilità lenitive è un fatto ormai assodato e la musicoterapia ne è un esempio eclatante. Il termine “guaritore”, però, di fronte all’homo saecularis contemporaneo, potrebbe assumere delle caratteristiche un po’ ambigue. Non ho però alcun dubbio, almeno dopo aver ascoltato questo disco, che il potere terapeutico di Makhathini sia effettivamente una realtà, tale è la magia che si sprigiona dai questo album In The Spirit of Ntu. Il concetto di Ntu è legato a quello dell’Essere e soprattutto ad un’idea più estesa di “Unità dell’Essere”, in cui ogni individuo è in stretta comunione con la Natura e quindi compartecipato alla realtà cosmica in un unico, sotterraneo legame. Una strana, negromantica attrattiva, come un effluvio di vapori stordenti, si libera dal jazz di Makhathini che è un insieme di mistica contemporaneità, religiose tradizioni ancestrali, insinuanti cantilene ed appaganti esperienze emotive. Una musica di primissima scelta, originale nella sua arcana bellezza, eseguita da musicisti- sciamani che arrivano diretti al sodo, cioè allo scopo di raggiungere il nostro mondo psichico laddove si celi l’origine dell’esistenza stessa, il chaos primigenio delle più antiche cosmogonie. Questo In the Spirit of Ntu  è un lavoro da maneggiare con attenzione che non ha solo il fine di comunicare forti stati emotivi ma bensì quello più nobile di trasmettere conoscenza, quel sapere di noi stessi che costituisce il processo d’individuazione, faticosissimo ma necessario percorso per avvicinarci al senso della nostra vita. Con un pianismo per certi versi più vicino all’approccio di McCoy Tyner ma che non s’allontana dalla religiosa attenzione di Ibrahim per l’anima africana, Makhathini imbastisce un discorso musicale organico, potente ed esperienziale, con l’apporto di una serie di validi musicisti. Troviamo allora Linda Sikhakhane al sassofono, Robin Fassie Kock alla tromba, Dylan Tabisher al vibrafono, Stephen De Souza al basso, Gontse Makchene alle percussioni, Dane Parigi alla batteria, Anna Widauer e Omagugu alle voci e un prezioso ospite come il sassofonista contralto americano Jaleel Shaw.

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