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Sons Of Kemet

Tom Skinner – Voices of Bishara (Brownswood Recordings, 2022)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Abbiamo da poco incrociato il nome del batterista Tom Skinner nel bell’album del trio The Smile, pubblicato solo qualche mese fa insieme a Thom Yorke e Johnny Greenwood, due componenti dei Radiohead. Nel bel mezzo di quest’autunno ritoviamo il nostro batterista con un’altra uscita discografica, Voices of Bishara, primo album pubblicato a suo nome. Sebbene Skinner sia un importante agitatore dell’attuale scena jazz inglese da almeno vent’anni a questa parte, fino ad ora aveva editato due dischi da titolare sotto lo pseudonimo di Hello Skinny, titolo preso da un vecchio brano dei Residents uscito nel 1978 con l’Ep Buster and Glen. Inoltre Skinner ha fatto parte dei Sons of Kemet, gruppo scioltosi da pochissimo tempo, avendo ruotato attorno alla figura del leader trentottenne saxofonista Shabaka Hutchings che ritoviamo ad ogni modo tra le fila dei musicisti presenti in Voices of Bishara – Off Topic si è già occupato più volte di questo sassofonista e se foste interessati a saperne di più potete cliccare qui, oppure qui La storia di questa ultima produzione discografica è quanto meno curiosa. Potremmo dire che tutto è iniziato in un locale londinese, il Brilliant Corners, dove ci fu una seduta di Played Twice (= suonato due volte), cioè un set particolarmente interessante in cui dall’impianto audio del locale veniva prima mandata una storica incisione jazz – nell’occasione era un album di Tony Williams, Life Time del 1965 – e poi il gruppo ospite, tra cui il nostro Skinner, eseguiva dal vivo una sorta di “risposta” improvvisata sotto lo stimolo di ciò che si era appena ascoltato. Parte del materiale sonoro così ottenuto è finito in Voices of Bishara ma di assoluta importanza è stato anche un album di Abdul Wadud, violoncellista americano di Cleveland, che nel 1977 uscì con un Lp in solitaria, By Myself, a cui Skinner ha dedicato molta attenzione durtante il blocco Covid. “Bisharra” – con due erreera il nome dell’etichetta di proprietà di Wadud e Skinner utilizza lo stesso termine con una piccola modifica ortografica, sapendo che Bishara – con una sola erre – in lingua araba significa “buone notizie”. Il lavoro di post-produzione è continuato in un secondo tempo con il cut-up che l’Autore ha esercitato sul materiale registrato. Quindi possiamo dire che Skinner si sia sentito stimolato sia da Williams che da quel lavoro di Wadud – forse soprattutto da quest’ultimo – e in effetti l’atmosfera di Voices sembra approfittare di uno shunt spazio-temporale che ci riporta parzialmente a quel periodo della seconda metà dei ’60 fino a gran parte dei ’70, a contatto con la nascita del cosidetto spiritual jazz il cui album di assoluto riferimento è A Love Supreme di John Coltrane, uscito nel 1965. Ma in questo genere di musica, caratterizzato dalla progressiva presa di coscienza del valore religioso e dalla nuova politica dei diritti civili da parte della comunità nera americana, troviamo altri illustri rappresentanti, come ad esempio Pharoah Sanders, Don Cherry, Alice Coltrane, Sun Ra, Albert Ayler ecc…  

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Sons Of Kemet – Black To The Future (Impulse! Records, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Claudia Losini

I Sons Of Kemet sono uno dei complessi jazz britannici più acclamati negli ultimi anni, grazie anche alla presenza di Shabaka Hutchings, sassofonista e clarinettista originario delle Barbados, leader, oltre che di questo gruppo, anche dei Shabaka and the Ancestors, membro anche dei Comet is Coming, altro gruppo jazz di ispirazione 70s e basato soprattutto sull’improvvisazione delle jam session.
Ha suonato il sassofono per Sun Ra, Floating Points, Mulatu Astatke, giusto per citare alcuni nomi.
L’impronta principale dei Sons of Kemet è il folk caraibico che incontra la musica africana: il sound è tribale e tocca le corde più nascoste dello spirito in ciascuno di noi. Come dice Shabaka, ognuno interpreta i brani secondo la propria cultura, ma il messaggio finale deve essere necessariamente universale.
E anche nel loro quarto disco, Black to the future, i Sons of Kemet vogliono trasmettere un messaggio, chiaro e molto forte: affinché l’umanità progredisca, bisogna considerare cosa significa essere “Black to the future”, bisogna ridefinire e riaffermare il significato della lotta per il black power.

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