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Angel Bat Dawid

Angel Bat Dawid – Hush Harbor Mixtape Vol. 1 Doxology (International Anthem, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

La musica di Angel Bat Dawid si ascolta non senza qualche significativo turbamento. La quarantenne clarinettista, cantante, tastierista di Chicago si espone da sola nel suo ultimo lavoro, il terzo se non erro, con questo particolarissimo Hush harbor mixtape vol.1 – Doxology. C’è, in questo disco, qualcosa che non è facile raccontare. Si tratta, infatti, di un omaggio parlato e cantato – doxologico, appunto – dedicato ad una divinità o com’è in questo caso ad una santa brasiliana mai accolta ufficialmente nell’ambito cattolico. Parliamo di Escrava Anastacia, una schiava condotta dall’Africa in Brasile, all’epoca delle drammatiche traduzioni forzate di popolazione nera, che ha raccolto proprio in sud America un culto diffuso, anche se non propriamente ortodosso. L’immagine che la ritrae in copertina la mostra con quella speciale maschera di ferro che ne copriva parzialmente il volto, obbligata ad indossarla a causa, si dice, della sua conturbante bellezza. L’hush harbor a cui si fa riferimento nel titolo equivale al “porto di silenzio”, cioè un luogo boschivo e nascosto dove gli schiavi si riunivano per leggere la Bibbia e i Vangeli trovando conforto, almeno nella religione, alla loro vita disgraziata. Dove sta il turbamento di cui parlavo all’inizio, al di là della storia in sé dello schiavismo, già particolarmente drammatica da par suo? In primis nelle dichiarazioni della stessa Angel che insegue lo “sradicamento sonoro del sistema di supremazia bianca”. Cioè, se leggo in modo giusto e dando per autentica la suddetta citazione, la possibilità di svincolarsi dal sistema armonico e strutturale della musica tipicamente bianca e occidentale, anche se certi passaggi di accordi sulla tastiera mi ricordano Messiaen. Oppure l’autrice intendeva forse alludere al valore politico dei suoi suoni? Probabilmente sono vere entrambe le cose anche se la Bat Dawid non fa proclami di rivolte né si lancia in filippiche da comizio politico. Anzi, spesso i suoi parlati sono una via di mezzo tra accenni solidali, incoraggiamenti e orazioni – doxologie, appunto.  

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Damon Locks Black Monument Ensemble – Now (International Anthem, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

“Il tempo è solo la differenza tra il conoscere ora e non conoscere. Perché se conosci tutto ora, significa che è trascorso presente e futuro”. È con questa citazione “sessantottina” di Mattie Humphries, che Damon Locks, “sound and visual artist from Chicago Illinois” apre il comunicato stampa che accompagna questo interessantissimo lavoro intitolato Now e realizzato con il collettivo BME, acronimo di Black Monument Ensemble. Disco di difficile narrazione (e questo è un male) e assolutamente non etichettabile (e questo è un bene). Se c’è qualcosa di facilmente riconoscibile in questo lavoro musicale è certamente il suo “brodo di coltura”, che altro non poteva essere che la scena jazz-sperimental-transgressive di Chicago. Artista poliedrico, più che musicista puro, Damon Locks propone un lavoro denso di emozioni, pulsioni, concetti a cominciare proprio dalle parole (suoi i testi), dal loro significato e dal loro suono, spina dorsale di tutto il disco, magistralmente fuse e con/fuse, in un flusso sonoro dalle mille suggestioni che vanno dal jazz di ricerca, all’underground, al punk. Cosa ci raccontano le parole? Le dominanti tematiche del disco sono certamente le proteste e le rivendicazioni, suscitate dagli ultimi episodi di violenza poliziesca nei confronti dei cittadini afro-americani, che molto spesso si sono configurate come violenze di stampo razziale. Questa è la materia concettuale del disco, coniugata e declinata attraverso una vena musicale di altissimo livello, che fa del “collage sonoro” e del linguaggio di molte avanguardie, lo strumento di trasformazione poetica e musicale di una materia tanto scottante.

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The Notwist – Vertigo Days (Morr Music, 2021)

R E C E N S I O N E


Articolo di Claudia Losini

Avevo circa vent’anni quando ascoltai per la prima volta i Notwist, e tutt’oggi la canzone Consequences è nella mia personale classifica delle canzoni che mi hanno cambiato la vita.
I Notwist vengono dalla Germania, hanno un passato da band post-hardcore ma si sono fatti conoscere con Neon Golden, un disco electro-pop con influenze post-rock che può essere tranquillamente considerato il loro masterpiece.
La loro caratteristica principale, oltre alla sperimentazione costante di suoni, è l’improvvisazione: ascoltare un live dei Notwist significa immergersi per più di due ore in loop, deviazioni sonore, e accettare il disassemblamento di ogni brano in qualcosa di nuovo a cui non si è abituati. Non c’è un concerto simile all’altro, e lo stesso pezzo non suonerà mai due volte uguale.  

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