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Fabio Mina – The Meaning Of The Wings (Bandcamp, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Nelle note di presentazione dell’ultimo lavoro di Fabio Mina, The meaning of the wings, si fa accenno alla Natura come essenza che avvolge e compenetra, la sostanza spinoziana che costituisce la trama su cui la Vita s’accresce e si diversifica. In questa visione omnicomprensiva permane alla base un senso di mistero, una stupefazione che non permette, nemmeno attraverso la lente della Scienza, di comprendere a pieno il senso dell’esistenza. Allora ci si muove per impressioni, attraverso l’interpretazione dei simboli, la decriptazione delle forme, dei movimenti e dei suoni. Mina, musicista di indiscutibile capacità tecnica e di altrettanta, profonda conoscenza dello strumento “flauto”, sotto tutte le varie forme classiche o tradizionali in cui esso possa trovarsi, ci accompagna all’interno del suo immaginario attraverso una miscela di suoni conturbanti, a disorientare ma anche a rimarcare l’enigmatica ricerca di un’archè comune tra gli uomini e le cose. Più che un desiderio di contemplazione, in questo lavoro possiamo leggere delle domande, degli interrogativi a cui è realmente difficile trovare risposte esaustive. Non si creda, però, che quest’opera di Mina – al pari degli altri due album precedenti – viaggi verso un passatismo descrittivo, una ricerca estetizzante di suoni puri e prodotti da strumenti solamente acustici. C’è invece la costante presenza di effetti elettronici, synth, pedali, nastri manipolati che ci rammenta come questa presa di coscienza della Natura sia legata indissolubilmente al nostro tempo. Le ottiche sono spesso filtrate, sovrapposte, a volte deformate ma tutte hanno il compito preciso di fissare l’attimo fuggente, la dynamis che potenzialmente possiede ogni cosa.

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The Shape – Morning, Paradiso (LaCantina Records, 2021)

R E C E N S I O N E


Articolo di Stefania D’Egidio

Quando ti occupi di recensioni musicali ti passano sotto mano tanti album, alcuni di artisti strafamosi, altri meno noti, altri ancora di band a te del tutto sconosciute, qualcosa lo ascolti in anteprima, perchè preceduto da un hype consistente, qualcosa, invece, dopo mesi dall’uscita e, spesso, a colpirti sono proprio quei musicisti di cui fino a ieri non sapevi assolutamente nulla. È il caso dell’ultimo lavoro dei The Shape, Morning, Paradiso, band veronese riunitasi dopo una pausa di quasi cinque anni: uscirà il 5 febbraio per l’etichetta LaCantina Records, prodotto e mixato da Martino Cuman dei Non Voglio che Clara. Leggo sul comunicato stampa che per scelta della band l’album non sarà presente su Spotify e già questo fa guadagnare loro cento punti ai miei occhi: chi mi conosce sa quanto odi la smaterializzazione della musica, avvilente per noi appassionati e anche un tantino feticisti, ma soprattutto per gli artisti che ricevono una ridicola remunerazione dalle piattaforme di streaming il che, ahimè, se non riprenderanno al più presto gli eventi live, porterà all’estinzione di tanti gruppi. Ben venga quindi il ritorno dei The Shape su Bandcamp perchè Morning, Paradiso è un lavoro bellissimo, il migliore ascoltato in questo primo mese dell’anno (non me ne vogliano Dave Grohl e soci), un piccolo scrigno contenente dieci gemme preziose a cui dare il giusto valore: complice il ticchettio della pioggia sui miei lucernari, mentre lo ascolto stasera mi pare di sognare. Un album da ascoltare tutto d’un fiato, come ai vecchi tempi, quando aspettavi per mesi l’ultima uscita discografica dei tuoi idoli e, finalmente tra le tue mani, ti rinchiudevi in camera a sentirlo per ore e ore.

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Fabio Mina, Aniki – The Shiv (Bandcamp, 2020)

R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

Dobbiamo ancora abituarci, ma di sicuro esisterà, forse già esiste, una “letteratura dell’era Covid” e una “musica del/dal lockdown”. Di quest’ultima fa certamente parte, per stessa ammissione dei suoi autori, l’interessantissimo lavoro dei fratelli Fabio e Luca Mina (aka Aniki), flautista, sassofonista, compositore e molto altro il primo, musicista elettronico, producer e mago del mixaggio il secondo. The Shiv, questo il tiolo del disco, che nel gergo delle galere americane, allude ad un coltello auto-costruito dai detenuti. Nella grammatica musicale e semantica dei due musicisti, il riferimento chiaro è alla capacità della musica di essere tagliente, cruda, anche spietata, ma sempre autentica e nello stesso tempo, a questa convinzione, soggiace il desiderio di portare l’attenzione su una questione esiziale del comportamento umano: la perenne voglia di rinchiudere, di incarcerare, e, perché no, di punire (come ricordava Michel Foucault, se mi si passa la citazione “da vecchio”).

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