R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Nelle note di presentazione dell’ultimo lavoro di Fabio Mina, The meaning of the wings, si fa accenno alla Natura come essenza che avvolge e compenetra, la sostanza spinoziana che costituisce la trama su cui la Vita s’accresce e si diversifica. In questa visione omnicomprensiva permane alla base un senso di mistero, una stupefazione che non permette, nemmeno attraverso la lente della Scienza, di comprendere a pieno il senso dell’esistenza. Allora ci si muove per impressioni, attraverso l’interpretazione dei simboli, la decriptazione delle forme, dei movimenti e dei suoni. Mina, musicista di indiscutibile capacità tecnica e di altrettanta, profonda conoscenza dello strumento “flauto”, sotto tutte le varie forme classiche o tradizionali in cui esso possa trovarsi, ci accompagna all’interno del suo immaginario attraverso una miscela di suoni conturbanti, a disorientare ma anche a rimarcare l’enigmatica ricerca di un’archè comune tra gli uomini e le cose. Più che un desiderio di contemplazione, in questo lavoro possiamo leggere delle domande, degli interrogativi a cui è realmente difficile trovare risposte esaustive. Non si creda, però, che quest’opera di Mina – al pari degli altri due album precedenti – viaggi verso un passatismo descrittivo, una ricerca estetizzante di suoni puri e prodotti da strumenti solamente acustici. C’è invece la costante presenza di effetti elettronici, synth, pedali, nastri manipolati che ci rammenta come questa presa di coscienza della Natura sia legata indissolubilmente al nostro tempo. Le ottiche sono spesso filtrate, sovrapposte, a volte deformate ma tutte hanno il compito preciso di fissare l’attimo fuggente, la dynamis che potenzialmente possiede ogni cosa.

In questo disco si fa riferimento alle ali, alle piume, a una mirabile soluzione anatomica e poetica che permette il volo e quindi la sospensione nel vento, la vorticosità di un’ascensione sfruttando il movimento delle correnti dell’aria. La stessa aria che scorre nei flauti, tra le scanalature e i forami che ne determinano la trasformazione magica in suono, in espressione e quindi in musica. Il mondo della Fisica può diventare metafora dello spirito, costruendo un insolito ponte tra il dentro e il fuori, risolvendo in un kyklos il continuo ritorno di ipotesi e di riflessioni – “Tu sei quello” – si dice, infatti, nei Veda. Nel valutare i brani che seguono mi prenderò la libertà d’interpretarli da un punto di vista personale che potrà anche non essere lo stesso dell’Autore e di altri ascoltatori. Mi appello tuttavia alla capacità dell’arte di essere vissuta e interpretata autonomamente, sfuggendo ad ogni regola di stretta osservanza a cui la Musica, per altro, mal si adeguerebbe.
L’album si apre con Open up e la memoria si aggancia, nelle battute iniziali, a qualche vecchio lavoro dei Popol Vuh, gruppo che ho sempre considerato come portatore di un terzo occhio, di una visione ulteriore del mondo sfuggente ai più. Flauti e suoni sovrapposti di sax e frammenti elettronici, varietà di umori e rimandi, echi di percussioni, quindi un ipnotico traffico di idee e di immagini che ci passano accanto come grani di sensazioni sparse. L’elettronica apre invece Vision, con soffi che sembrano sibili serpentini, aliti che servono a rinvigorire una fiamma. Quasi un rito di magica iniziazione, una danza propiziatoria, maschere che simulano identità diverse che si agitano e si incarnano in spiriti di Natura. Una pulsazione più ritmica apre Run up and jump e qui la danza si fa multicolore, con una suggestione di piumaggi cangianti come nel mitico Holawak, l’uccello ibridato con una figura umana, protagonista nella tradizione mitica etiope del ruolo di messaggero divino. Wide eyed e l’atmosfera si fa cupa. Occhi ben aperti, quindi, perché la Natura possiede una bellezza multiforme, fatta anche di orrori e di violenze. In effetti la Natura stessa ci ha lasciato quello che si pensa essere l’ultimo, vero istinto animale che ancora l’Uomo possiede, cioè il senso del territorio inteso come rifugio, area inviolabile che garantisce il nostro insediamento e quindi la nostra sopravvivenza. Zitkala-Sa song for red bird, ci accompagna nella dimensione del rispetto e dell’ammirazione nostalgica verso una storica figura femminile, appunto Zitkala-Sa, soprannominata Red Bird. Scrittrice, musicista e attivista, nativa americana della tribù indiana dei Dakota che si battè per i diritti del proprio popolo attorno ai primi decenni del ‘900. Feathers and gusts, piume e refoli di vento. La delicatezza del flauto descrive i piccoli e grandi movimenti della struttura di una piuma che si adatta elasticamente all’aria, esempio estremamente naturale del concetto abusato di resilienza. Ancora una volta la Fisica anatomica si presta ad una trasfigurazione metaforica perché la capacità d’adattamento è l’obbligo umano-animale verso la Natura mentre non può valere il concetto opposto, cioè il desiderio faustiano di sottomettere il mondo alla propria volontà. In Hang over interviene a dare una mano anche il fratello dell’autore, Luca, alambiccando con gli effetti elettronici in un curioso brano dal respiro affaticato. Nella ripetizione di sei note realizzate da una stratificazione di flauti, che fanno da ostinato a poche varianti sovrapposte, si sviluppa l’intera traccia. A thousand meanings è il frammento che personalmente preferisco. Inizia quasi come un sospiro su cui intervengono livelli di sonorità differenti in crescendo che vanno a sgorgare in un bell’assolo di Fabio Mina in cui un flauto sembra librarsi privo di vincoli, accennando ad una melodia più complessa e costruita con un’impronta fortemente malinconica. Courage, segnalato come bonus track nell’anteprima dei brani che ho a disposizione, non mi ha invece molto convinto e sembra quasi un’aggiunta a posteriori. Bisogna rimarcare, ad ogni modo, la serietà dell’autore che sembra seguire un proprio percorso interiore senza concessioni a un “bel suono” a tutti i costi e soprattutto tenendosi orgogliosamente lontano dal calpestio omologante della new age. Mina racconta un mondo oltre il mondo, una profondità spirituale ottenuta lavorando in levare su melodie volutamente scarne, ottenendone così gemme sonore enigmatiche, d’indubbio valore poetico.

Tracklist:
01. Open up
02. Vision
03. Run up and jump
04. Wide eyed
05. Zitkala-sa, song for Red Bird
06. Feathers and gusts
07. Hang over
08. A thousand meanings
09. Courage (Bonus track)