I N T E R V I S T A
Articolo di Luca Franceschini
Dai Daisy Chains ai Lowinsky, passando per i Finistère, approdando infine alla carriera solista. Carlo Pinchetti, lecchese nell’anima (a questo giro si è parlato anche di calcio ma eravamo già a microfoni spenti, per fortuna!) ma da tempo trapiantato a Bergamo, è ormai uno dei nomi di punta della numerosa scena sotterranea della città e dei suoi dintorni, attivissima attorno ad alcune realtà consolidate come Edonè e Clamore, e piena di artisti meritevoli di attenzione. Lo abbiamo visto sopratutto lo scorso anno, quando tanti di loro si sono esibiti in streaming per sostenere l’ospedale della loro città che, lo sappiamo bene, è stata una delle più colpite dalla pandemia. I Lowinsky poi, l’era del Covid l’hanno praticamente inaugurata, visto che hanno fatto uscire “Oggetti smarriti”, il loro debutto su full length, proprio il giorno prima che l’Italia si fermasse. Lo ricordo bene perché qualche settimana prima ero stato a trovarli in sala prove e mi avevano suonato in anteprima la scaletta che avrebbero eseguito durante il Release Party a cui non avrei potuto prendere parte (ero a Varese a vedere Il Triangolo, anche loro a presentare un disco, in quello che sarebbe stato il mio ultimo concerto per parecchi mesi). Oggi che io e Carlo siamo seduti all’aperto davanti a una birra, al tavolo di un locale del centro non molto lontano da casa sua, tante cose sono cambiate: bar e ristoranti hanno riaperto, i concerti stanno per riprendere, si parla di togliere il coprifuoco e, anche se il cosiddetto “ritorno alla normalità” appare piuttosto lontano (sempre che poi avvenga realmente) l’avvio delle vaccinazioni consente almeno una timida speranza che il prossimo autunno non ci vedrà ancora ai blocchi di partenza. Nel frattempo è anche uscito “Una meravigliosa bugia”, che Carlo ha registrato a casa sua, punto di arrivo di un processo creativo senza precedenti, che lo ha portato a scrivere più o meno una canzone al giorno per diverse settimane. Ho avuto la fortuna di vedere questo disco crescere e già ascoltando i provini mi ero accorto che l’urgenza e l’ispirazione che trasudavano da queste note erano qualcosa di speciale. C’era il bisogno di dare un senso a quello stop forzato, di recuperare i sacrifici fatti a scrivere e registrare un album che non si sarebbe mai più potuto suonare dal vivo. C’era la voglia di gridare al mondo che si era ancora vivi, nonostante tutto, e che realizzare canzoni nuove era il modo migliore per professare il proprio immenso amore per l’esistenza. “Una meravigliosa bugia” è probabilmente il lavoro migliore nella pluridecennale carriera di Carlo Pinchetti, uno che, nel suo piccolo, è sempre stato fedele ai suoi maestri e alla sua vocazione. Quello che segue è il sunto di una chiacchierata che, nella sua forma originale, è stata comprensibilmente molto più lunga: dopotutto per entrambi erano le prime uscite e conversare insieme, bevendo, vedendosi finalmente di persona, era un qualcosa che mancava molto a tutti e due.