R E C E N S I O N E
Recensione di Alberto Calandriello
La domanda che ogni fan dei Counting Crows si pone prima di ascoltare un loro nuovo album è sempre la stessa: Adam sarà riuscito a risolvere i suoi problemi di insonnia? Scherzi a parte, la tematica è frequente nei loro brani, al punto che lo stesso Duritz ci ha riso sopra nel concerto per i 20 anni di August And Everything After, durante Anna Begins (“fuck, I never sleep” esclama a metà canzone), ma soprattutto è segno di un costante conflitto interiore tra l’ambizione e la voglia di ritrovarsi. Se August nel 1993 era un esplicito tentativo di affermarsi ed avere successo (e le due cose non sempre vanno di pari passo), come cantavano nella hit Mr Jones (quando guardo la televisione voglio vedermi nello specchio che mi sorrido), tutta la loro carriera è stata un susseguirsi di questi due sentimenti, sognare di diventare famosi e temere che l’essere famosi peggiori noi stessi. Una carriera non certo prolifica, se si pensa che in 28 anni questo nuovo EP è solo l’ottavo album in studio e segna il ritorno della band californiana dopo Somewhere Under Wonderland del 2012. Quattro canzoni legate assieme in un’unica suite quindi, con un filo conduttore musicale che si trova nel pianoforte di Adam ed uno legato ai testi, che identificano i 20 minuti scarsi dell’EP come una lunga riflessione su sé stesso da parte di Adam, che ragiona sul suo essere uomo e rockstar, come spesso ha fatto.
