R E C E N S I O N E
Articolo di Stefania D’Egidio
Tra i personaggi più autoironici e istrionici del folle mondo del rock, i suoi spettacoli sono vere e proprie pieces teatrali, Alice Cooper è arrivato a 73 anni sopravvivendo ai tempi cupi delle droghe e dell’autodistruzione e, in barba alla pandemia, ha dato alla luce il suo ventunesimo album da solista, Detroit Stories, uscito lo scorso 26 febbraio per earMusic. Un omaggio alla sua città d’origine, dove ha vissuto fino all’età di 12 anni, quando la sua famiglia si trasferì a Phoenix; famosa per l’industria automobilistica e per la casa discografica Motown, Detroit è anche il posto dove Alice, al secolo Vincent Fournier, si rifugiò con la sua band dopo gli insuccessi del periodo californiano: il secondo album, Easy Action del 1970, fu considerato, infatti, poco più che mediocre dalla critica. Il ritorno nella città natale invece segnò una svolta perchè firmarono un contratto con la Warner Bros e incontrarono il produttore Bob Ezrin, con il quale si rinchiusero in una fattoria fatiscente a Pontiac per realizzare Love It to Death, quello che, con il singolo I’m Eighteen, divenne disco d’oro nel 1971.
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