R E C E N S I O N E
Recensione di Arianna Mancini
Un’immagine minimale che richiama modelli d’interferenza, si presenta così la copertina del tredicesimo lavoro dei Low uscito lo scorso 10 settembre per Sub Pop Records. L’artwork, opera di Peter Liversidge, artista multidisciplinare britannico, funge da anticipazione ed autentica visione sonora dei dieci brani che compongono l’album, inni che scorrono su tappeti elettronici susseguendosi nella costante matrice di riverberi e distorsioni in cui echi e ritornelli si ripetono in loop come dei mantra.
In questo loro terzo disco prodotto da BJ Burton, Alan Sparhawk e Mimi Parker, un lavoro in duo senza il bassista Steve Garrington, proseguono e danno compimento definitivo a quella metamorfosi già evidente in Double Negative del 2018. Il cambiamento si condensa acquisendo un cromatismo più netto e senza compromessi, volti ad ottenere il plauso dei fan e della critica, com’è sempre stato nel loro stile. Siamo ormai lontani anni luce dalle melodie tenui e crepuscolari di I Could Live in Hope (1994), ma Alan e Mimi hanno sempre guardato avanti, trasformando e reinventando il loro approccio al sound e restando fuori dalle tendenze maggiormente in voga del periodo.
