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Lonnie Holley – Oh Me Oh My (Jagjaguwar, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Andrea Notarangelo

La bellezza della musica sta nel fatto che quando ritieni di aver scoperto tutto e quando pensi che difficilmente proverai una particolare emozione, ecco spuntare qualcosa di nuovo ad attenderti dietro l’angolo. A volte hai a che fare con una bella sorpresa, altre meno, ma non è questo il punto. La musica è quel tipo di arte che ti fa immaginare colori e sfumature là dove ci sono solo note e che ti mostra paesaggi paradisiaci o sobborghi disagiati di una metropoli ad ogni cambio di melodia. La musica è il viaggio più lungo che potrai mai fare nella tua vita senza esserti mosso di casa o dalla scrivania del tuo ufficio. Ed è in questo modo che ho abbracciato la proposta di Lonnie Holley, un artista anomalo e completamente fuori dagli schemi. Non voglio fare l’esperto dai gusti ricercati, mi piacerebbe raccontarvi che circa dieci anni fa ascoltai il suo esordio e ne rimasi folgorato, ma in verità, fino ad oggi non ero a conoscenza di questo portento e per questo motivo mi limito solo a introdurvi nel suo mondo. Desidero infatti raccontarvi la storia di un settantatreenne che solo nel 2012 è arrivato al traguardo del suo primo disco e che oggi presenta il settimo lavoro in studio dopo aver passato una vita come artista concettuale dedito alla creazione di opere di assemblaggio realizzate con materiali di recupero. Mister Holley ha visto di tutto, da bambino quando è stato venduto per una bottiglia di whisky, per passare a lavorare come scavatore di tombe fino al dedicarsi alla raccolta del cotone nel suo Alabama. Tutta l’esperienza l’ha concentrata nei suoi dischi e azzarderei dire che questo nuovo Oh Me, Oh My corrisponde alla summa e all’essenza del suo messaggio.

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Bon Iver – i,i (Jagjaguwar, 2019)

R E C E N S I O N E


Articolo di Letizia Grassi

Il 9 agosto è arrivato l’autunno, con ben 21 giorni di anticipo sull’anticipo. Già, perché il quarto album dei Bon Iver, previsto in uscita per il 30 agosto, conclude le stagioni cominciate dodici anni fa con l’inverno di For Emma, Forever Ago. L’autunno è la stagione più introspettiva delle quattro, caratterizzata da un repentino cambiamento nei colori e dal mutare costante dei sentimenti, per raggiungere la perfetta malinconia che rende accessibile l’esistenza. E la chiave di lettura dell’intero album si trova proprio nel titolo, da analizzare ancor prima di iniziare l’ascolto. Infatti, la reiterazione del pronome personale i,i potrebbe sottolineare la natura intima del lavoro della band, quel viaggio introspettivo attraverso la musica dei rumori a cui Justin Vernon ci ha sempre abituato.

Photo Credit: Graham Tolbert / Eric Carlson

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Bon Iver @ castello Scaligero di Villafranca (Vr), 17 luglio 2019

L I V E – R E P O R T


Articolo di Luca Franceschini, immagini sonore di Claire Powell

Sono passati sei anni dall’ultimo concerto di Bon Iver nel nostro paese e l’attesa era comprensibilmente tanta. Vero che le quotazioni di Justin Vernon erano forse leggermente scese tra gli amanti dell’Indie Folk più oltranzista, dopo che l’uscita di 22, A Million ne aveva rivelato un aspetto molto più sperimentale e destrutturato di quanto fosse lecito aspettarsi. Allo stesso tempo, però, si era trattato di una mossa quasi annunciata: la linearità dell’approccio alla scrittura non è mai stata troppo tipica del musicista del Wisconsin e i suoi diversi progetti paralleli (Vulcano Choir, recentemente Big Red Machine), unitamente ai featuring su brani di artisti apparentemente lontani dal suo modo di sentire (vedi James Blake o Bruce Hornsby) ne fanno un artista molto più poliedrico di quanto fosse lecito aspettarsi dando un ascolto solo al primo lavoro a nome Bon Iver (che non a caso è il più amato dal pubblico generalista ma, almeno a mio parere, quello meno interessante musicalmente).

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Jon Bryant – Cult Classic (Nettwerk, 2019)

R E C E N S I O N E


Articolo di Manuel Gala

Svegliarsi in paradiso stropicciandosi gli occhi per la lunga dormita, accorgersi di essere circondato da un popolo strano discendente da Woodstock, in attesa che la star entri in scena. Ecco che dall’alto inizia a scendere verso di noi una nuvola, iniziano le prime note e una voce celestiale comincia a cantare. Appare in una luce divina il magico mondo di Jon Bryant, come nella copertina del suo nuovo album Cult Classic; angelico nello sguardo ma con l’animo maledetto, come d’altronde deve essere una star del circuito che si rispetti.
33 anni (ma guarda un po’), nato ad Halifax, la voce più ammaliante e penetrante del Canada fornisce una prova di maturità che non può passare inosservata. Avete presente i brividi lungo la schiena che vi hanno accompagnato nell’ascolto del pluripremiato album di Bon Iver? Si esatto, proprio quello con la meravigliosa Holocene! Ok ora immaginatelo mentre si diletta con testi e musica made in Australia dei Tame Impala in versione zucchero a velo e gocce di malinconia.

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