R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Ogni adulto può ricordare molte cose importanti che hanno riempito la propria la vita di adolescente. Per alcuni come il sottoscritto, cresciuti tra la musica beat dei primi ’60 e Cesare Pavese, l’esistenza era un’oscillazione continua tra la gioia di un’energia fisiologica quasi incontenibile e i momenti di riflessione attraverso le letture, in modo particolare quelle dello stesso Pavese. La sua prosa e la poesia rappresentavano il lessico della maturazione in atto, la quintessenza dell’educazione sentimentale e quindi dei molti sbagli e delle poche certezze che un sedicenne di allora poteva mai sperimentare. Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, l’opera pubblicata postuma dell’artista cuneese nel 1951, è anche il titolo di questo ultimo lavoro del trio Massimo Barbiero (batteria, percussioni, interventi elettronici), Eloisa Manera (violini acustico ed elettrico, interventi vocali), Emanuele Sartoris (pianoforte). Avevamo già dedicato a questi tre musicisti e alla loro opera Woland un intervento precedente – lo trovate qui su Off Topic – e ora ci si accosta a questo ultimo album con la stessa, obbligata concentrazione riservata al suo predecessore. Nonostante la musica, per propria costituzione intrinseca, possa prevedere ascolti mediati da attenzione fluttuante, nel caso di questo trio, invece, è come calarsi in un pozzo profondo, gradino dopo gradino, stando ben vigili e presenti al corteo di sensazioni e immagini che ci possono sfilare davanti agli occhi. Questa musica funziona quasi da seduta psicoanalitica e i tre terapeuti, con i loro strumenti, sanno come evocare fantasmi e ricordi prima di raggiungere l’insight finale, l’ipotetica individuazione del “Sé”. Certo, qui prima di tutto l’ispirazione è Pavese e la sua opera viene continuamente evocata, soprattutto nelle tracce più nostalgiche e sentimentalmente dedicate – stiamo pur sempre riferendoci ad una serie di poesie in cui l’Amore Non Corrisposto è il grande tema conduttore. Ma la musica funziona sempre nei modi che non t’aspetti, sia come in questo caso attraverso la sensualità volatile di qualche frammento sonoro, soprattutto dalla traccia n° 9 verso il finale, sia portandoci ad altri frangenti in un mutevole astrattismo compositivo, un’evanescenza emozionale che scende in profondità fino a toccare il fiore misterioso del turbamento. Del resto come raccontare efficacemente i sentimenti di un poeta e di uno scrittore se non per mezzo di un’altra forma d’arte come la musica?
