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Eloisa Manera

Barbiero | Manera | Sartoris – Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (Autoproduzione, 2022)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Ogni adulto può ricordare molte cose importanti che hanno riempito la propria la vita di adolescente. Per alcuni come il sottoscritto, cresciuti tra la musica beat dei primi ’60 e Cesare Pavese, l’esistenza era un’oscillazione continua tra la gioia di un’energia fisiologica quasi incontenibile e i momenti di riflessione attraverso le letture, in modo particolare quelle dello stesso Pavese. La sua prosa e la poesia rappresentavano il lessico della maturazione in atto, la quintessenza dell’educazione sentimentale e quindi dei molti sbagli e delle poche certezze che un sedicenne di allora poteva mai sperimentare. Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, l’opera pubblicata postuma dell’artista cuneese nel 1951, è anche il titolo di questo ultimo lavoro del trio Massimo Barbiero (batteria, percussioni, interventi elettronici), Eloisa Manera (violini acustico ed elettrico, interventi vocali), Emanuele Sartoris (pianoforte). Avevamo già dedicato a questi tre musicisti e alla loro opera Woland un intervento precedente – lo trovate qui su Off Topic – e ora ci si accosta a questo ultimo album con la stessa, obbligata concentrazione riservata al suo predecessore. Nonostante la musica, per propria costituzione intrinseca, possa prevedere ascolti mediati da attenzione fluttuante, nel caso di questo trio, invece, è come calarsi in un pozzo profondo, gradino dopo gradino, stando ben vigili e presenti al corteo di sensazioni e immagini che ci possono sfilare davanti agli occhi. Questa musica funziona quasi da seduta psicoanalitica e i tre terapeuti, con i loro strumenti, sanno come evocare fantasmi e ricordi prima di raggiungere l’insight finale, l’ipotetica individuazione del “Sé”. Certo, qui prima di tutto l’ispirazione è Pavese e la sua opera viene continuamente evocata, soprattutto nelle tracce più nostalgiche e sentimentalmente dedicate – stiamo pur sempre riferendoci ad una serie di poesie in cui l’Amore Non Corrisposto è il grande tema conduttore. Ma la musica funziona sempre nei modi che non t’aspetti, sia come in questo caso attraverso la sensualità volatile di qualche frammento sonoro, soprattutto dalla traccia n° 9 verso il finale, sia portandoci ad altri frangenti in un mutevole astrattismo compositivo, un’evanescenza emozionale che scende in profondità fino a toccare il fiore misterioso del turbamento. Del resto come raccontare efficacemente i sentimenti di un poeta e di uno scrittore se non per mezzo di un’altra forma d’arte come la musica?

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Dissòi Lògoi – Different Traditions (Da Vinci Jazz, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Al di là dei “duplici ragionamenti” o dei “discorsi contrastanti” che la traduzione di Dissòi Lògoi – nome in greco antico del gruppo di cui ci stiamo occupando – indurrebbe a pensare, ciò che colpisce maggiormente, durante l’ascolto di questa ultima uscita discografica Different Traditions, è la molteplicità delle direzioni musicali e culturali accanto all’eterogenea varietà dei suoni. Un vero e proprio terzo occhio si spalanca all’interno della coscienza permettendoci di percepire un passaggio di sensazioni che vanno da un appagato abbandono sensoriale a una vera e propria “eustatheia”, fino a sfiorare livelli più sottili dellla psychè in cui si muovono sottotraccia evocative e dinamiche tensioni interiori. La musica dei Dissòi Logòi è un terreno sedimentato da impronte etniche, jazz, folk, sperimentazioni contemporanee, rock, matrici classiche. È insomma una stratificazione di più livelli esperienziali, una speleologia del profondo, un accesso attraverso una botola segreta verso una ricerca di tracce emotive, echi e suggestioni che credevamo perdute. I suoni trascorrono da momenti di intensa poesia ad altri più intricati e debordanti, gli accostamenti strumentali non esitano a porre fianco a fianco voci nordafricane e orientaleggianti accanto a sferzate di chitarra elettrica, percussioni tribali insieme all’impeto di un basso e batteria di stampo jazz-rock, suoni acustici di pianoforte e strumenti cordofoni mescolati con una grande varietà di fiati. Tra questi ultimi sassofoni, tromboni, trombe, clarinetti, oboi. Insomma un vero e proprio florilegio sonoro che non si trasforma in un’estetica dell’eccesso ma che segue un proprio filo costruttivo, basato sull’emozione ma anche su una logica espressiva rigorosa. Dissòi Lògoi è stato fondato da Franco Parravicini e Alberto Morelli verso la fine degli anni ‘80, il primo essenzialmente bassista e chitarrista, il secondo pianista e polistrumentista. Entrambi attratti e coinvolti da ispirazioni e tradizioni che vengono soprattutto dal patrimonio popolare di diverse regioni mediterranee oltre che africane e indiane.

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Barbiero | Manera | Sartoris – Woland (Autoproduzione, 2020)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Il dilemma più complesso, nell’affrontare il problema del Male, riguarda proprio il monoteismo. Come può un unico Dio che è sommo bene ed infinito amore concedere spazio al Male? Un tema, questo, che ha interessato non solo la filosofia ma anche l’arte in molte sue diverse forme. In questo specifico contesto è la letteratura con il romanzo di Bulgakov, il “Maestro e Margherita”, a raccontare in un affascinante affresco pubblicato postumo negli anni ’60 la critica satirica al sistema comunista sovietico, persecutore, come tutti i regimi assolutisti, della libertà d’espressione. In una sorta di rovesciamento del gioco delle parti sarà proprio la Russia degli anni ’30 a rappresentare il Male mentre Woland – il diavolo – con la sua compagnia di demoni, paradossalmente costituirà il riscatto del Maestro, cioè lo scrittore perseguitato dal potere su cui s’incentra la storia di Bulgakov. In questo fascinoso disco di Massimo Barbiero, Eloisa Manera ed Emanuele Sartoris, tre musicisti di livello internazionale con alle spalle esperienze musicali composite, si cerca di rendere una storia complessa come quella dell’autore russo attraverso una sintesi operata dalla musica per mezzo dell’incredibile batteria di Barbiero, del sapiente e spesso struggente uso del violino della Manera e del pianoforte di Sartoris cui spetta il difficile compito di legare tra loro i dialoghi dei personaggi tratti dal romanzo e tradotti simbolicamente in dinamiche strumentali. 

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Lupi5 @ Opificio, Novara – 31 ottobre 2019

A P P U N T I  D A  N O V A R A J A Z Z


Articolo di Mario Grella

Il violone di Luca Pissavini e il violino di Eloisa Manera, con Luca Calabrese alla tromba, Andrea Baronchelli al trombone e Stefano Grasso alla batteria nella formazione Lupi5, restituiscono dignità a questa sera altrimenti in preda alle mamme “stregate” e ai bambini macilenti del conformismo di Halloween. Ed è “senso” vero quello che scaturisce da questa musica sentita, pensata e donata al pubblico dell’Opificio. Bella escursione autunnale “au de là” di jazz, folk o rock, verso un territorio tutto da scoprire pieno di frutti interessanti da cogliere.

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Eloisa Manera Duende – Mirko Signorile Trio Trip @ EJC Fringe – Piccolo Coccia, Novara – 11 settembre 2019

APPUNTI DALL’ EUROPEAN JAZZ CONFERENCE – NOVARA


Articolo di Mario Grella

Questa sera primo “fringe” ovvero uno dei tanti concerti collaterali ai lavori della European Jazz Conference.
Eloisa Manera mi ha confessato che, da qualche anno, era nato in lei il desiderio di uscire dalla gabbia di un concerto già strutturato per lanciarsi, senza paracadute, in una esperienza del tutto nuova e cioè, “vivere il momento, il suono e seguirlo nel presente”. E come si poteva chiamare un’esperienza simile se non con il poetico ed evocatore termine di duende? Eloisa utilizza due violini, uno, il suo solito completamente “nudo” e un violino elettrico a cinque corde. Insomma alla ricerca del “blues, onda dopo onda, insieme a chi ci sarà, rimescolando le tracce sonore che mi hanno definito in questi anni…” Così mi aveva detto qualche giorno fa.

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