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Daniele Sepe – Poema 15 (Encore Music, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Alessandro Tacconi

Così Daniele Sepe, Capitan Capitone per gli amici, s’invola nuovamente verso il Sudamerica, grazie a un contributo collettivo di crowdfunding (e non è la prima volta).
Più volte in questi anni il nostro è approdato a quelle latitudini omaggiando di volta in volta il musicista e compositore cileno Victor Jara con l’album Conosci Victor Jara (2000), di cui ha realizzato anche una versione live nel 2007, poi il tenor sassofonista argentino “gattesco” Gato Barbieri con l’album The Cat With The Heat (2019).
Il ritorno in Sudamerica avviene per ricordare il golpe cileno del 1973 sull’onda delle parole di poeti e cantautori come Pablo Neruda, Atahaulpa Yupanqui, Silvio Rodriguez, Rafael Hernandez Marin, Ariel Ramirez, Felix Luna e ovviamente Victor Jara. Con loro si percorre il continente da nord a sud: da Cuba a Portorico, dal Cile all’Argentina, facendo una capatina anche nel centro e sud Italia.

È da rilevare come il booklet riporti la versione originale dei testi e la loro traduzione in italiano, anche per il brano in napoletano Canzone per Jara cantato da Enzo Gragnaniello ed Emilia Zamuner, cosicché l’ascoltatore sia aiutato nella comprensione delle parole.

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Matt Elliott – The End Of Days (Ici d’alleurs, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Riguardo questo ultimo lavoro di Matt Elliott, The End of Days, possiamo prendere atto di come l’emozione ne sopravanzi la struttura. Un rado accompagnamento strumentale sostiene il canto, così tenebroso che pare provenire dall’interno di un pozzo senza fondo. Eppure, rarefatta o meno, la musica, alle volte solo di una chitarra, accompagna il canto come un cane fedele il suo padrone e riesce con pochi tagli sonori a focalizzare la drammaticità dei momenti più espressivi di quest’album. Alla stregua di un Werther non più così giovane – Elliott è alle soglie della cinquantina – che resta avvolto dalla sehnsucht ben oltre l’adolescenza, il musicista britannico procede oltre il puro cantautorato, al di là del folk, alle spalle di quel dio ambiguo che un giorno, forse, deve avergli promesso l’impossibile. Ecco quindi che tutto l’arco di The End Of Days è un lungo gospel oscuro che tenta di riaccendere un’alleanza divina ormai tradita, allungandosi tra il buio e la crepuscolarità di certi madrigali cinquecenteschi, melodie mediterranee tese tra l’Andalusia e Coimbra, via via verso l’Est fino alle isole greche e ai Balcani. Pochi gli strumenti strategicamente posizionati, a volta un bandismo che ricorda i cortei funebri del meridione italico, con tanto di grancassa, ottoni e cavalli con palandrane nere, poi una chitarra classica ben pizzicata, un sax che sembra suonato da un Albert Ayler in versione folk-song, qualche nota sparsa di piano e violoncello.

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Mary Gauthier – Rifles & Rosary Beads (Appaloosa Records, 2018)

Recensione di Andrea Furlan

There is no higher healing than turning trauma into art” Larry Moss

Di traumi Mary Gauthier ne sa certamente qualcosa. Il primo, devastante, lo subisce ancora in fasce, quando viene abbandonata dalla madre. Un anno in orfanotrofio, poi una famiglia adottiva da cui però scappa. Droga, alcool, riabilitazione. Ormai adulta, rintraccia la madre naturale, ma viene respinta. Non è stata affatto semplice la sua vita, una continua lotta contro i propri demoni e le troppe domande irrisolte. Scrive la sua prima canzone a 35 anni ed è la svolta. La musica è la sua ancora di salvezza, diventa uno degli autori più apprezzati e profondi, capace di sublimare il dolore e la sofferenza in arte di altissimo livello. La narrazione stessa è una cura, nel suo album del 2010, The Foundling, affronta proprio l’abbandono e le ferite che faticano a rimarginarsi. Tutta la sua opera del resto è un incessante riflettere sulle pene dell’esistenza, dell’amore, delle relazioni umane e della ricerca di una serenità possibile e desiderata.

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