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Livia De Romanis

Jacopo Ferrazza – Fantàsia (Teal Dreamers Factory, 2022)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Durante l’ascolto di questo Fantàsia – con l’accento sulla seconda sillaba – mi son trovato a riflettere sulla natura decisamente sui generis di questo lavoro, rispetto alla media di proposte che ascolto solitamente. A partire dalla copertina, inabissata tra i colori blu e viola, con quella figurazione spiraliforme e la figura umana centrale che pare incamminarsi verso un luogo misterioso. Se il contrabbassista Jacopo Ferrazza voleva evocare una dimensione onirica o qualcosa di simile, bisogna proprio dire che ha centrato l’obiettivo, sia a partire dalla grafica che per quello che riguarda, in modo più pertinente, l’essenza della musica. I suoni e il canto paiono provenire da un universo parallelo, attraverso uno di quei cunicoli spazio-temporali di cui la Fisica – e non solo la fantascienza – ipotizza l’esistenza tra un “buco nero” ed un altro. La sensazione di fluttuazione che possiamo avvertire, come in una sorta di viaggio astrale al di fuori del nostro corpo ed ai limiti della coscienza, lo si deve anche alla difficoltà di riconoscere e definire la dimensione musicale, piuttosto eterogenea, in cui ci si trova. La struttura, nel suo complesso, è costituita da un jazz diluito nel pop-elettronico, a cavallo tra progressive e frammenti classici che si organizzano in un moderno Pierrot Lunaire tra Schoenberg e i Gong di David Allen. Come un colore che si diffonda in un liquido diluente, così la musica di Fantàsia scioglie i suoi confini storici e strutturali per diventare altro da sé, un’incursione nel lato più sognante della creatività, avvicinandosi al mondo enigmatico della Psiche, cioè al respiro dell’immaginazione. Ma ancora più in là, forse in un territorio vissuto prima di questo, toccando quel nervo segreto che ci avvicina al Mistero senza mai raggiungerlo. È intuibile che Fantàsia sia stata concepita come una suite, data l’omogeneità intenzionale che si sviluppa lungo tutto l’arco delle composizioni. La scelta della lingua inglese per i testi dei brani forse è stata preferita per la maggior scorrevolezza dei suoi fonemi all’interno di una struttura musicale complessa come questa.

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Igor Caiazza – Blu (Abeat Records, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Aldo Pedron

La Abeat Records di Mario Caccia di Solbiate Olona (Va) è una delle più attente ed importanti etichette discografiche nell’ambito jazz, sempre pronta a scoprire nuovi talenti e confermare artisti di valore già affermati. Una politica quella della Abeat Records dedita a sostenere e promuovere giovani talora spesso esordienti e talentuosi musicisti soprattutto italiani. Rispetto ad altre etichette Abeat non segue una linea editoriale omogenea o ristretta ad una unica tipologia di genere o di stile ma tende a promuovere progetti con una propria e forte identità. Un catalogo notevole che vi invito a sfogliare e visitare.

Igor Caiazza è un brillante compositore, arrangiatore, percussionista classico e vibrafonista jazz. Ha un passato giovanile di batterista, suonando rock, pop e hip-hop, ma poi la musica classica lo ha stregato e catturato. Così, approfondendo lo studio del vibrafono e della marimba, oltre all’adorato Bach ha scoperto Astor Piazzolla, le cui composizioni, non a caso, erano un mix tra la musica classica e la musica argentina. Piazzolla è stato, quindi, il ponte tra la classica e il jazz ma di quest’ultimo non si è più liberato!

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