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Rashaan Carter

Brandee Younger – Brand New Life (Impulse!, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Sono sempre molto contento quando riesco ad ascoltare l’arpa di Brandee Younger. Un po’ perché mi piace il suono dello strumento ma soprattutto per l’indiscutibile perizia di questa musicista, il cui lavoro spesso viene arricchito da collaborazioni tutte sempre importanti e stimolanti e come vedremo abbondantemente presenti anche in questo suo ultimo album, Brand New Life. Ad un immediato e veloce ascolto esplorativo mi pareva di aver trovato questo disco un po’ al di sotto delle mie aspettative, almeno se paragonato al precedente, Somewhere Different, uscito due anni fa sempre per la medesima, iconica etichetta Impulse! [potete trovare questa recensione insieme a maggiori note biografiche sulla Younger giusto qui]. Ulteriori ascolti hanno invece modificato la mia prima, improvvida sensazione e mi sono maggiormente convinto dell’effettiva bontà di Brand New Life. Si tratta di un’opera di elevata qualità a cui però occorre avvicinarsi con una certa arrendevolezza per godere della sua piena amabilità ed esserne così gratificati. Come già suggeriva la stessa Autrice presentando il precedente album, questa musica ha una propria costruzione apparentemente semplice ed un immediato profilo percettivo, ragion per cui si dovrebbe accostarla prendendo atto della sua forma eterea e della novità degli inserimenti contemporanei legati alla cultura hip hop e soul, senza pregiudiziali o fraintendimenti interpretativi. L’album, infatti, è un sentito omaggio ad una pioniera dell’arpa jazz come Dorothy Ashby, morta nel 1986 poco più che cinquantenne. La Younger ripropone dunque alcuni brani di questa grande arpista scomparsa, scegliendo tra quelli editi ed altri mai pubblicati ed infine rielaborandone alcuni secondo una visione più moderna dentro cui rientrano, in controllati flussi sonori, gli stimoli musicali della nostra epoca. Così facendo si mettono direttamente a confronto le linee armoniche della Ashby con le istanze più attuali delle nuove generazioni di musicisti e questo al di là dei generi abitualmente consolidati.

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Takuya Kuroda – Midnight Crisp (First Word Records, 2022)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Ascoltando questo Midnight Crisp, settima pubblicazione discografica per il trombettista Takuya Kuroda, mi sono interrogato sulla quantità di eredi, diretti e indiretti, che il nu-jazz degli anni ’90 ha lasciato dietro di sé. Da quel curioso incrocio, talora affascinante e altre volte decisamente stucchevole di stili – il funk, il soul, hip-hop, tracce elettroniche pre-registrate, dance music ecc… – qualcuno scoprì che si riusciva ad estrarre un succo acidulo che poteva essere anche definito come “jazz”. La cosa non dovrebbe in effetti stupire più di tanto ma quello che inaspettatamente successe è che furono proprio i jazzisti ad appropriarsene in un secondo tempo, servendosene come bastioni di una nuova estetica musicale. Un vero e proprio capovolgimento d’intenzioni, quindi, e oggi l’utilizzo di sampler elettronici e di frammenti preregistrati è diventato quasi la norma, almeno nel contesto della musica che viene dagli USA – ma non solo. In questo caso, invece, non si insiste molto sulle componenti elettroniche, a parte i presumibili effetti delle tastiere, preferendo un lavoro d’insieme con strumenti più tradizionali e riconoscibili. Kuroda si è trasferito negli Sati Uniti nel 2003 e nel 2010 pubblica il suo primo disco Bitter and High. Ne seguiranno altri sei, compreso quest’ultimo. Midnight Crisp è una trasfusione vivificante per l’organismo, opera molto brillante ed elegantemente leggera, priva di cupezze, che si sviluppa attraverso un sabba di melodie segmentate, numerosi inserti citazionistici e una musa capricciosa a cui piace il gioco di mescolar le carte. Su tutti l’ottima tromba di Kuroda che mi ha ricordato per certi versi l’approccio di Hugh Masekela, per via di una certa calibrata esuberanza d’esecuzione. Ma Kuroda non si muove certo da solo, circondandosi da un gruppo cospicuo di musicisti come Corey King al trombone, Craig Hill al sax tenore, Takahiro Izumikawa alle tastiere, Rashaan Carter al basso elettrico, Adam Jackson alla batteria, Keite Ogawa alle percussioni e Ryo Ogihara alla chitarra.

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Brandee Younger – Somewhere Different (Impulse!, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Risulta molto chiaro, secondo le opinioni espresse dalla stessa Brandee Younger che questo suo ultimo album, Somewhere Different, dovrebbe essere accettato per quello che effettivamente è, un lavoro cioè di facile fruibilità, attorno a cui può essere superfluo affannarsi nel cercare significati troppo complicati. Un diretto invito, quindi, a godere nell’immediato della policromia che la musica stessa è in grado di offrire. La Younger, arpista newyorkese trentottenne, giunge così al quinto lavoro da titolare – è necessario però tener conto come Wax & Wane del 2010 e Prelude del 2011 siano EP e che Force Majeure dello scorso anno è un lavoro a quattro mani con il contrabbassista Dezron Douglas, oggi produttore di questo ultimo disco. Comunque sia Somewhere Different è l’esordio per un’etichetta storica come la Impulse! ed in un certo qual modo tutto questo rappresenta una sorta di consacrazione ufficiale dell’artista nell’olimpo dei jazzisti “che contano”. Rifacendosi ai sempiterni spiriti guida di Dorothty Ashby, soprattutto, e secondariamente di Alice Coltrane, la Younger porta il suono della sua arpa, leggero e a tratti morbidamente pigro come un pomeriggio estivo, ad arricchirsi di numerose e diversificate esperienze che oltre al jazz, includono il rock – soprattutto nell’assetto ritmico – l’ambient music, l’hip-hop, molto soul e un raffinato tocco di musica classica. Del resto l’artista in questione ha collaborato con jazzisti sopraffini come Pharoa Sanders, Jack DeJohnette, Charlie Haden, Ravi Coltrane, Makaya McCraven ma anche con altri musicisti provenienti da mondi diversi come John Legend, il rapper Drake, il songwriter ghanese Moses Sumney ecc…

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