R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Ascoltando questo Midnight Crisp, settima pubblicazione discografica per il trombettista Takuya Kuroda, mi sono interrogato sulla quantità di eredi, diretti e indiretti, che il nu-jazz degli anni ’90 ha lasciato dietro di sé. Da quel curioso incrocio, talora affascinante e altre volte decisamente stucchevole di stili – il funk, il soul, hip-hop, tracce elettroniche pre-registrate, dance music ecc… – qualcuno scoprì che si riusciva ad estrarre un succo acidulo che poteva essere anche definito come “jazz”. La cosa non dovrebbe in effetti stupire più di tanto ma quello che inaspettatamente successe è che furono proprio i jazzisti ad appropriarsene in un secondo tempo, servendosene come bastioni di una nuova estetica musicale. Un vero e proprio capovolgimento d’intenzioni, quindi, e oggi l’utilizzo di sampler elettronici e di frammenti preregistrati è diventato quasi la norma, almeno nel contesto della musica che viene dagli USA – ma non solo. In questo caso, invece, non si insiste molto sulle componenti elettroniche, a parte i presumibili effetti delle tastiere, preferendo un lavoro d’insieme con strumenti più tradizionali e riconoscibili. Kuroda si è trasferito negli Sati Uniti nel 2003 e nel 2010 pubblica il suo primo disco Bitter and High. Ne seguiranno altri sei, compreso quest’ultimo. Midnight Crisp è una trasfusione vivificante per l’organismo, opera molto brillante ed elegantemente leggera, priva di cupezze, che si sviluppa attraverso un sabba di melodie segmentate, numerosi inserti citazionistici e una musa capricciosa a cui piace il gioco di mescolar le carte. Su tutti l’ottima tromba di Kuroda che mi ha ricordato per certi versi l’approccio di Hugh Masekela, per via di una certa calibrata esuberanza d’esecuzione. Ma Kuroda non si muove certo da solo, circondandosi da un gruppo cospicuo di musicisti come Corey King al trombone, Craig Hill al sax tenore, Takahiro Izumikawa alle tastiere, Rashaan Carter al basso elettrico, Adam Jackson alla batteria, Keite Ogawa alle percussioni e Ryo Ogihara alla chitarra.

Il brano iniziale, che porta lo stesso titolo dell’album, si presenta con un intro di tastiere e un probabile sampler, insieme ad un avvolgente basso elettrico. Da qui in poi s’innescano i fiati che sviluppano un interessante tema corale, spesso condotto all’unisono, fino all’assolo di piano. Il gruppo macina musica senza fissa dimora, eterogenea e di materico spessore. L’intervento della tromba, quasi più un intermezzo che un vero e proprio “solo”, precede l’evoluzione del sax con gli altri fiati che gli cadenzano alle spalle. La tastiera “simil-organo” regala una sensazione quasi granulare e costituisce l’aspetto più evidente della ritmica, distillando la chiusura del brano in un progressivo alleggerimento di suoni fino al loro arresto improvviso. Time Coil è un funky molto urbano, un intrico di asfalti bagnati e di luci che vi si riflettono portandoci indietro nel tempo di qualche anno, ai momenti forse più felici della jazzfusion, da Hancock agli Yellowjackets. Ancora tastiere in evidenza, basso guizzante, batteria turgida ma soprattutto i fiati, di nuovo in forma corale e sincronica. Poi arriva l’assolo squillante di tromba prima e quello più accomodante di trombone secondariamente, a completare il groove, quel vortice gravitazionale che ci attira nel suo interno a contatto con temi viscerali e sonorità dense ed appaganti. It’s okay, nelle inizialissime battute in cui tromba e sax si esprimono all’unisono, ci fa credere di essere trasvolati in un clima più hardbop. Ma non è così perché il mid-tempo ben scandito mantiene solo un’apparenza di swing. In realtà sempre di funky si tratta, più moderato e più rarefatto, con l’organo che colora di rosso scuro il brano e la volatile comparsa di un accenno a Gimme Some Lovin e il suo riconoscibile passaggio – dalla fondamentale settima al quarto grado e poi di nuovo alla triade della fondamentale stessa – ( mi chiedo sempre se queste citazioni siano casuali o volute come semplici omaggi a posteriori…). Poi l’assolo di tromba che dimostra l’eclettismo di Kuroda e la sua propensione a spingersi vero le note alte, seguito dall’intervento di sax con il suo fraseggio blues. Riprende il tema in sincrono dei fiati con il giro di tastiera, spigliato ed elegante, mentre l’organo torna a sollecitare i fantasmi dello Spencer Davis Group.

In Dead End Dance compare la chitarra con le pennate wha-wha che fanno tanto Isaac Hayes, dopo l’introduzione del tema con trombone, basso e probabilmente una tastiera aggiunta. Sembra di ascoltare una sigla di una serie tv poliziesca. La presenza dei fiati con tromba e sax sempre insieme appassionatamente e permanentemente sovrapposti sposta l’attenzione dal sequel ad una musica che si fa apparentemente più caotica. In realtà la forma estetica promuove una maggior stimolazione sensoriale avvicinandosi al free, anche se alla lontana. Atmosfera comunque più inquieta e moderatamente claustrofobica. Old Picture è l’unico brano lento, una ballad con un accompagnamento non molto jazz, direi quasi una pop song. Il brano è stiracchiato, sembra un po’ fuori contesto anche se Kuroda ce la mette tutta col suo assolo per dare un po’ di nobiltà alla traccia stessa. Un curioso accompagnamento degli altri fiati non aggiunge nulla di più, se non la netta sensazione del mancato decollo. Il gruppo si giova invece delle sonorità soul e nu-jazz dell’ultimo pezzo del disco, dove lo stesso Kuroda imposta una breve frase di canto. Ben presto la luce ritorna vivida, le sonorità brillanti sono quelle predilette dal gruppo che con l’evolversi della traccia abbracciano quel funky-groove che li fa sentire a proprio agio. Gran finale con le ance in evidenza, la tromba ed il sax si danno il cambio prima della sovrapposizione delle voci e il pieno di fiati che conclude i giochi.

Midnight Crisp piacerà agli amanti di questo interessante ed eccitante ibrido fusion, pieno di entusiasmi e di stati d’animo positivi. La promiscuità di vari generi e stili musicali è comunque una scommessa vinta per Kuroda che dimostra di saper bene navigare nel suo brodo di bollente funky. La propulsione ritmica mantiene la giusta tensione in questa musica che non esiterei a definire con un unico, riassuntivo aggettivo che dice un po’ tutto: divertente.

Tracklist:
01. Midnight Crisp (5:27)
02. Time Coil (6:36)
03. It’s Okay (6:05)
04. Dead End Dance (4:21)
05. Old Picture (5:19)
06. Choy Soda (4:47)

Photo © Genya