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Avant Jazz

Fire! – Testament (Rune Grammofon, 2024)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Bisogna risolvere preventivamente qualche problema concettuale, quando parliamo degli svedesi Fire! Si tratta di un trio che non ha niente da spartire con ciò che viene chiamato comunemente jazz nordico. Innanzitutto per il tipo di formazione. Un basso elettrico, una batteria e un sax baritono, rispettivamente suonati da Johan Berthling, Andreas Werliin e Mats Gustaffson. Niente riferimenti classici, vade retro pianoforte, romanticismi non pervenuti, spiriti di Natura allontanati da stregoneschi esorcismi. Un trio di questo tipo porta alla memoria i Morphine degli anni ’90 ma rispetto alla band americana, i Fire! sembrano caduti nell’Ade con l’intenzione di non voler saperne di risalire in superficie. Comunque c’è dell’altro. Se non conoscessimo il passato di questa formazione – otto album alle spalle a partire dal 2009, compreso l’ultimo di cui ora ci occupiamo,e quasi altrettanti lavori sotto il nome e la misura di Fire! Orchestra – sarebbe arduo dover recensire un’opera come questo Testament. Bisognerebbe chiedersi il perché di una scelta votata al primitivismo, che non significa necessariamente elementarità, ma qualcosa che va ben oltre, come vedremo, rispetto all’idea dell’essenziale. Tre strumenti registrati senza sovra-incisioni, senza ospitate varie né tanto meno effetti elettronici aggiunti. Chiusi in studio a Chicago con quel pazzoide di Steve Albini – famoso soprattutto per essere intervenuto, tra l’altro, nelle produzioni rock dei Nirvana e dei Pixies – che ne ha curato la registrazione.

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James Brandon Lewis Transfiguration + Lina Allemano Quartet @ Conservatorio di Musica “Lucio Campiani”, Mantova – 14.04.24

L I V E – R E P O R T


Articolo di Nicola Barin, immagini sonore © Gabriele Lugli

La rassegna You must believe in Spring dell’associazione 4’33” di Matteo Gabutti entra nel vivo. Presentato da poco il programma che si offre quanto mai ghiotto con alcuni nomi da non perdere: Roscoe Mitchell, Gabriele Mitelli, Steve Lehman, Zoh Amba, Maria Grand-Marta Sanchez. Una selezione di artisti tra i più interessanti e sperimentali della scena italiana e internazionale. La trombettista Canadese Lina Allemano è una delle più accattivanti improvvisatrici d’oltreoceano, si presenta a Mantova con il suo quartetto: Brodie West al sax contralto Andrew Downing al contrabbasso e Nick Fraser alla batteria.

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Rachel Eckroth ‘Humanoid’ @ Aula Magna Isabella D’Este, Mantova – 21.03.24

L I V E – R E P O R T


Articolo di Nicola Barin, immagini sonore © Gabriele Lugli

Pian piano entra nel vivo la rassegna You Must Believe in Spring dell’associazione Mantovana 4’33” di Matteo Gabutti con un interessante proposta: Rachel Eckroth con il suo nuovo progetto Humanoid. Per questo tour italiano la pianista e cantante americana è accompagnata da Emma Dayhuff al contrabbasso e Tina Raymond alla batteria. La carriera della pianista è costellata di collaborazioni con musicisti di diversa estrazione: attualmente è la tastierista della cantante St. Vincent, ha collaborato con Rufus Wainwright e Chris Botti. Il suo album The Garden del 2021 ha avuto la nomination al Grammy Awards.

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Stefano Onorati & Fulvio Sigurtà – Extended Singularity (Caligola Records, 2024)

R E C E N S I O N E


Recensione di Nicola Barin

Il pianista Stefano Onorati e il trombettista Fulvio Sigurtà sono due fantastici esempi della qualità assoluta del jazz italiano. Onorati, Livornese classe 1966, ha suonato con i principali jazzisti italiani e innumerevoli voci del jazz internazionale. Sigurtà, classe 1975 bresciano, ha fatto parte della The Guildhall Big Band in cui ha suonato con il pianista John Taylor. Ha avuto diverse collaborazioni in Italia e all’estero e nel 2012 gli è stato assegnato il Premio “Miglior Nuovo Talento” nel Referendum del Top Jazz Italiano.

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Matana Roberts @ Palazzo Te, Mantova – 23 febbraio 2024

L I V E – R E P O R T


Articolo di Nicola Barin, immagini sonore © Gabriele Lugli

Il preludio della rassegna You must believe in Spring 2024 si è già messo in movimento, come sempre l’apprezzamento va al patron dell’associazione Mantovana 4′ 33”, Matteo Gabutti, che anche quest’anno è riuscito a realizzare un cartellone di indubbio interesse.
Nella regale Sala dei Cavalli di Palazzo Te a Mantova ci viene offerta la possibilità vera e propria di assistere a un “evento” che coinvolge parola e linguaggio, come ricorda il filosofo Giorgio Agamben: “…l’evento sia sempre anche evento di linguaggio e l’avventura indissociabile dalla parola che lo dice. L’essere che avviene qui e ora avviene a un ‘io’ […].

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Antonio Borghini – Banquet of Consequences (We Insist! Records, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Nicola Barin

Antonio Borghini è un contrabbassista attivo da diversi anni nella scena italiana ed europea, già collaboratore del collettivo bolognese Bassesfere. Le sue partecipazioni sono le più varie ed eterogenee e lo vedono insieme a Sean Bergin, Gianluca Petrella, Hamid Drake, il David Murray trio e quartetto, l’Anthony Braxton quartet e la Butch Morris Orchestra.
Nel 2009 si sposta a Berlino avvicinandosi al movimento echtzeitmusik e ne scaturiscono altri progetti e collaborazioni: con Tristan Honsinger’s Hopscotch, nel quartetto di Alexander Von Schlippenbach, in quello trionfale con Günter Sommer, Manfred Schoof e Gianluigi Trovesi; nella formazione Sequoia con Klaus Kürvers, Meinrad Kneer e Miles Perkin, in Umfundisi, combo dedicato alla musica di Sean Bergin con Matthias Schubert, Tobias Delius e Christian Lillinger.

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Zoh Amba @ Palazzo Te, Mantova – 8 novembre 2023

L I V E – R E P O R T


Articolo di Nicola Barin, immagini sonore © Gabriele Lugli

In una platea sempre più asfittica di offerte di scarso interesse, è d’obbligo offrire il nostro plauso alla rassegna Oltre Confine, organizzata dall’Associazione mantovana 4’33” di Matteo Gabutti.
Una sorta di tentativo di rivedere e reinventare le coordinate dei generi musicali.
Nella splendida location della Sala dei Cavalli di Palazzo Te a Mantova la giovane sassofonista Zoh Amba ci offre uno spettacolo unico.
Oltre ad aver studiato al San Francisco Conservatory Of Music, al New England Conservatory ha approfondito lo studio del sassofono con David Murray a New York. Il suo album d’esordio O, Sun è uscito per l’etichetta Tzadik di John Zorn.
Ha collaborato tra gli altri con William Parker, Joey Baron, Micah Thomas, Matt Hollenberg, Tyshawn Sorey, Vijay Iyer.

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Ingar Zach – strumento di etimo incerto (Aspen Edities, 2023)

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Recensione di Aldo Del Noce

C’è una certa consistenza di crediti nella nostra lingua, di fatto non nuovi nelle produzioni di Ingar Zach, consideratone il più recente album (Musica Liquida) ed un ulteriore album del passato (Le Stanze), esibenti pittoreschi titoli in italiano.
“Percussionista del Nord con una sensibilità del Sud” (sarà! – e prescindendo dal valore delle definizioni in così globali tempi), il manager della vivace label Sofa (co-gestita insieme a Kim Myhr e Martin Taxt) transita verso l’etichetta belga Aspen Edities per segnarvi l’ottavo album individuale. Presso Aspen, Zach aveva peraltro già segnato diverse collaborazioni, ove locali talenti belgi incontravano omologhi norvegesi tra cui appunto Zach e Nils Økland, importandovi adesso la più nuova traccia del percorso solistico; potremmo immaginare che vi si tesaurizzi ulteriormente (anche) l’eterogeneo patrimonio di collaborazioni, in primis la realtà alquanto unica del quartetto ‘open’ Dans les Arbres oltre a diversificate partnership (non ultima la dualità percussiva con il nostro Michele Rabbia), ma nei fatti si rileva una certa coerenza, per non dirsi una caratteristica caparbietà stilistica rispetto a quanto più recentemente fruito.


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Arch – Arch (Hora Records, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Alessandro Tacconi

Gli Arch, al secolo Luca Sguera (pianoforte), Joe Rehmer (contrabbasso) e Giovanni Iacovella (batteria), sono giovani e audaci. Siamo qui per trovare e non per ripetere sembrano dirci a ogni brano. L’album ha una durata complessiva di 33 minuti e mantiene in elettrica attesa l’ascoltatore a ogni traccia.
La frenesia ripetitiva di Asleep at the disco ci serra in un trip di straniamento sensoriale. L’insistita ripetitività di alcune note non può non rievocare latitudini asiatiche. Il secondo brano, Jaw, ci conduce lungo vie notturne popolate di ambigui personaggi dagli sguardi sghembi e i ghigni sardonici. Dove il contrabbasso amplia gli spazi sonori dentro cui la batteria scalcia e stride, il pianoforte crea un’inquietudine sorniona: “Venite, venite quaggiù, non vi succederà niente”. Potessimo credergli.

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