I N T E R V I S T A
Articolo di Luca Franceschini
C’è uno strano destino, nel fatto che “Nella testa”, primo singolo e video de Il triangolo dal 2014, sia arrivato proprio nello stesso giorno in cui mi chiedevo che fine avessero mai fatto. Un’America, il loro secondo disco, li aveva confermati come una delle band più interessanti del momento, capaci di riprendere la tradizione del Beat anglosassone e di rileggerlo in chiave “Indie”, con occhio sempre attento al tiro e alla melodia dei brani. Cinque anni sono tanti, ancora di più nell’epoca dei Social, dove tutto sta accelerando all’inverosimile e pare che si debba avere sempre qualcosa di nuovo con cui far parlare di sé. Marco Ulcigrai e Thomas Paganini sono rimasti indifferenti di fronte a questa frenetica accelerazione; si sono presi il loro tempo e se ne sono venuti fuori con Faccio un cinema, nove canzoni per una mezz’oretta scarsa di musica, dove si ritrovano tutti gli ingredienti che ci hanno fatto amare alla follia questo gruppo durante i loro anni d’oro. Nell’attesa di capire se riusciranno a riprendersi il posto che spetta loro, abbiamo fatto quattro chiacchiere con Marco, che della band è cantante, paroliere e compositore principale, per farci raccontare qualcosa in più di questo terzo, riuscitissimo lavoro.
Innanzitutto complimenti per il disco! Sicuramente non avete perso lo smalto, stando fermi…
Ti ringrazio. C’è stata una pausa che è durata quattro anni dall’ultima attività live e cinque dall’ultimo album. Diciamo quindi che questo disco lo abbiamo voluto e cercato per tanto, un po’ come quelle coppie con un figlio che non arriva… (ride NDA) Siamo dunque enormemente soddisfatti per esserci finalmente riusciti! Le canzoni in realtà non ho mai smesso di scriverle, perché quella è un’attività che svolgo sempre, anche quando non devo fare uscire dei dischi, per cui alla fine ci siamo trovati con un bel po’ di brani. Queste nove sono dunque quelle che abbiamo selezionato, le nostre preferite; sono anche quelle più fresche perché avevamo in mente l’idea di un disco fresco; in questo senso volevamo allontanarci da “Un’America” e credo che ci siamo riusciti. Siamo soddisfatti soprattutto del sound, perché finalmente abbiamo ottenuto quello che ci eravamo prefissati nel momento in cui abbiamo iniziato a registrare.
In effetti, rispetto al disco precedente, mi pare siate un po’ tornati alle origini. “Un’America” era un lavoro più epico, complesso, c’erano anche delle tematiche più universali, diciamo. Questo è più leggero, più lineare, sia come arrangiamento sia come costruzione dei brani, più limpido anche nella definizione del suono… e poi c’è un certo ritorno alle tematiche autobiografiche per cui magari non suonate più così smaccatamente Beat come agli esordi, però vi ci siete un po’ avvicinati, ai vostri inizi…
Tutto giusto, confermo. Con “Un’America” c’è stata proprio una scelta a priori di fare qualcosa di più arrabbiato, di più distorto, perché mi erano venuti fuori dei testi seriosi, arrabbiati, introspettivi e quindi abbiamo pensato che vi si sarebbe potuto adattare un sound un po’ più Dark. “Tutte le canzoni”, il primo disco, è stato forse il meno pensato del mondo perché, ti puoi immaginare, eravamo tre ragazzi che non avevano mai avuto a che fare con la discografia, abbiamo buttato fuori quello che avevamo senza pensarci troppo e devo dire che è venuto bene. Per “Faccio un cinema” abbiamo deciso di prendere una strada più fresca, più vintage ma di infilarci qua e là degli elementi contemporanei, cosa che non avevamo fatto nel primo disco. E quindi è venuto fuori questo mix di vecchio e nuovo che, mi pare, rifletta molto quello che siamo adesso.
Il punto di forza a mio parere sono ancora le melodie: voi avete sempre avuto una grande capacità di creare linee vocali, sopratutto ritornelli, che sono veramente validi, che entrano in testa da subito e anche questo disco è pieno di momenti di grande impatto. Come nasce un vostro brano?
Normalmente inizio a scrivere io, alla vecchia maniera, con la chitarra. Faccio la prima stesura, sia a livello melodico sia di testi, dopodiché porto il brano a Thomas ed insieme vediamo di dargli una limatura e un vestito adatto, troviamo una parte di basso, un mood generale che possa rispecchiarsi nel testo che ho scritto. Sì, le melodie per noi sono fondamentali. Sai, ogni band trova la sua forza in qualcosa: ad esempio i Tame Impala, per dire il primo gruppo che mi viene in mente, si basano molto sul sound; io invece non sono soddisfatto di una mia canzone se non c’è un tema, una melodia, un ritornello, che io ritengo veramente killer. È fondamentale per me che entri in testa, che lo ascolti e ti rimanga lì, è proprio una mia prerogativa.
Anche se adesso questa capacità melodica si compenetra molto meglio col lavoro di produzione, quindi in questo senso forse si può dire che sia il vostro disco migliore…
Senza dubbio.
Mi incuriosisce molto il titolo che avete scelto: immagino che non vi siate ispirati a Coez…
Ah già, è vero (ride NDA)! Diciamo che “Faccio un cinema” ha una sorta di doppio significato, per noi: alla fine ha un po’ lo stesso valore che ha avuto per Coez “Faccio un casino”, nel senso di “faccio qualcosa di importante, qualcosa che smuova”. E per noi, tornare dopo così tanti anni, alzarsi e buttar fuori qualcosa è stata un po’ una rivoluzione interna, se capisci cosa intendo. E poi c’è il valore del cinema, inteso come quell’elemento cinematografico che torna spesso nei nostri pezzi, nei nostri testi. Ci hanno detto spesso: “Ah, voi fate spaghetti western!” o cose del genere e spesso anche le situazioni e i personaggi che creiamo nei nostri testi sono assimilabili alle puntate di qualcosa, quindi diciamo che c’è questo doppio livello di significato…
C’è stato un po’ un modo di riappropriarvi del vostro passato, attraverso i testi, non credi? C’è molto autobiografismo in queste nuove canzoni…
Come sempre i nostri testi si dividono per tematiche: ci sono quelli autobiografici, vedi in questo caso “Faccio un cinema” o “Nella testa” e ci sono poi quelle canzoni che parlano di personaggi: possono essere veri, inventati oppure qualcuno di reale ma di cui distorciamo la storia, è il caso ad esempio di “Messico”, “Ivan”… sono insomma i nostri due lati di scrittura, l’autobiografia e lo storytelling libero, diciamo.
Cosa rimane, a distanza di anni, di quel verso del primo disco: “Giurami che rimarremo sempre giovani”?
È più un bisogno, il cercare di rimanere attaccati a questa cosa, perché nonostante i 31 anni, avendo comunque dei lavori, dei mutui, Thomas dei figli… avendo insomma una vita molto diversa da quella dei ventiduenni che hanno scritto il primo album, abbiamo ancora voglia di divertirci. Tu ci hai trovato della freschezza, in questo album e quindi è un bel segno, vuol dire che ci riusciamo! Siamo ancora giovani, dopotutto, ma siamo giovani di trent’anni ed è molto diverso che averne ancora venti…
Ho visto che la formazione è un po’ cambiata, dall’ultimo disco…
Siamo sempre stati in tre, sia come entità creativa, sia nella dimensione live. Con questo disco siamo rimasti in due come parte creativa ma adesso siamo in quattro sul palco. Siamo dunque ancora un triangolo ma non abbiamo più tre lati (risate NDA)! Al momento siamo facendo le prove per i prossimi concerti: c’è ancora un po’ di ruggine da togliere ma l’entusiasmo è tanto perché in quattro possiamo fare decisamente più cose quindi siamo davvero molto entusiasti di riprendere a suonare dal vivo…
Raccontami qualcosa di questi due nuovi componenti…
Il batterista si chiama Giacomo Fiocchi, è di Milano e ha già fatto alcuni tour, con, ad esempio, Old Fashioned Lover Boy e Iori’s Eyes, che è anche la band con cui l’abbiamo conosciuto. Ha un bagaglio infinito sulla musica ’60-’70, è un ottimo batterista ed è quindi esattamente quello che cercavamo. Alla chitarra e alla tastiera, a seconda delle canzoni e delle necessità, ci sarà un mio caro amico, titolare di un progetto musicale molto interessante e davvero molto bizzarro, Elton Novara, che breve dovrebbe uscire con un disco…
E domenica che cosa è successo? Vi siete già esibiti con questa nuova line up?
Quella di domenica è stata più che altro una festa di presentazione, c’eravamo solo io e Thomas e abbiamo suonato cinque canzoni in acustico. È stata soprattutto un’occasione per ritrovarci, per festeggiare, per mettere su il disco in rotazione. Per quanto riguarda le prossime date, quelle di presentazione saranno il 22 febbraio alle Cantine Coopuf di Varese (Ex Twiggy) e poi il 7 marzo a Milano, all’Ohibò.
A proposito di Varese: voi siete originari di Luino, un posto che conosco bene e a cui sono molto affezionato. Che cosa ha rappresentato per voi spostarvi a Milano?
Sicuramente passare in una grande città e scoprire tutte le differenze che ci sono con la provincia, ti lascia qualcosa in testa, che poi inevitabilmente si ripercuote nella scrittura. Ho cambiato casa nell’ultimo periodo e quello che mi è rimasto di Luino è soprattutto la componente paesaggistica, che amo molto e che mi manca parecchio, al punto che periodicamente sento il desiderio di tornare. È proprio anche solo l’azione del tornare in sé, il momento in cui, uscito da viale Certosa, comincio ad intravedere le montagne, è un’esperienza che mi scalda il cuore.
Come band vi posizionate in una zona un po’ particolare perché, pur essendo molto ammiccanti a livello di melodie, avete anche una componente più retro, che non si sposa troppo con l’It Pop odierno. Mi piacerebbe capire come, ora che siete tornati, avete trovato il mondo musicale di oggi, soprattutto considerando che, nell’epoca di Internet e dei Social, se passa un anno è come se ne fossero passati dieci…
È vero (ride NDA)! Noi abbiamo in realtà sempre fatto molta fatica a collocarci e adesso il mercato è cambiato davvero tanto, posso dire in positivo, perché sembra che finalmente si sia imparato a capitalizzare il valore della musica indipendente. Non posso dire però di avere trovato un mondo stravolto, nel quale ci sentiamo fuori posto, perché ci siamo sempre sentiti fuori dai generi e dai collocamenti. Abbiamo anche un pubblico molto vario, anche a livello di età. Di conseguenza, non so davvero cosa aspettarmi da questo nostro ritorno, è ancora molto presto. Per adesso hanno risposto i nostri vecchi fan, vedremo se riusciremo a conquistare anche qualcun altro, ovviamente lo speriamo!
Speriamo davvero: io ho sempre ricordato un grande entusiasmo ai vostri concerti. In particolare ho in mente una bellissima esibizione al Mi Ami del 2014…
Sì, quella è stata una delle date più belle che io ricordi, tra le ultime che abbiamo fatto!
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