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Caligola Records

Remedio feat. Sergio Marchesini – Semillas (Gutenberg by Caligola, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Lucio Vecchio

Il chitarrista peruviano David Beltran Soto Chero, il giovane contrabbassista Alberto Zuanon e la cantante Laura Vigilante condividono la passione per la musica latino-americana partendo dalle tradizioni del passato fino al presente. Nasce così il trio Remedio: il fisarmonicista Sergio Marchesini, che per questa occasione era ospite speciale, si è appassionato al progetto, entrando poi stabilmente nel gruppo. Il disco, promosso da Caligola Records, è la registrazione di uno spettacolo live che il quartetto ha tenuto al Piccolo Teatro Tom Benetollo di Padova il 22 gennaio 2022: un’attenta selezione di dodici brani che percorrono le vie della musica sudamericana fra tradizione e contemporaneità. Il gruppo padroneggia in maniera magistrale le variazioni di accenti restituendo pienamente il clima di allegra malinconia che solo la musica latino-americana riesce a mescolare. La voce di Laura Vigilante si destreggia con le sonorità proposte dal terzetto di musicisti in un mix veramente azzeccato, anche grazie all’ottima registrazione.

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Claudio Cojaniz – Black (Caligola Records, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Musicalmente sospeso tra chiarori e oscurità, il pianismo melodico ed elegante di Claudio Cojaniz riappare in questo suo ultimo lavoro, sinteticamente intitolato Black. L’impasto percettivo che arriva all’ascoltatore è una miscellanea di molti profumi, alcuni decisamente  latini, altri in cui emergono fragranze classiche di tradizione europea ed infine note aromatizzate di blues con punte di suggestioni afro-americane. In questi ultimi anni, dopo la summa esperienziale dei suoi numerosi coinvolgimenti professionali in campi diversi – composizioni per tv e cinema, lavori per piano solo, in trio, in quartetto, in big bands, partiture per organo chiesastico ecc…- lo stile pianistico di Cojaniz si è arricchito di note più malinconiche e riflessive, tanto da assumere a tratti la forma di un’intima colloquialità, arricchendosi ancor più di quella compostezza formale che ha sempre caratterizzato il suo modo di esprimersi musicalmente. Cojaniz, in questo suo Black, sembra non utilizzare formule armoniche all’avanguardia, eppure in alcuni brani, dal mio punto di vista i migliori, come ad esempio Ola de Fuerza, il suono si smagrisce creando interessanti legami molecolari tra le note, soluzioni e passaggi che si fanno apprezzare non solo per lo sviluppo melodico ma anche per la non scontata relazione tra i singoli elementi. Si resta sempre in un ambito tonale, profondamente poetico, all’interno di un ampio e trasparente calice armonico che dimostra l’intensa partecipazione emotiva dell’Autore – tutti i brani della selezione sono di sua composizione – senza che si trovi posto per lambiccamenti estetizzanti né asfittiche torsioni melodiche. Il linguaggio di cui Cojaniz si serve nel delineare i suoi quadri emozionali è chiaro e limpido ed anche nei momenti più riflessivi in cui la luce sembra attenuarsi, non s’inabissa in tortuosità dissonanti. Insomma, si percepisce, dietro e dentro la musica, l’intensa educazione sentimentale formatasi tra musica classica, Monk – uno dei suoi grandi ispiratori – e il blues che emerge anche in questo album in isole lussureggianti mescolato a ricordi latino-africani.

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Nagual – Italocarioca (Caligola Records, 2022)

R E C E N S I O N E


Recensione di Lucio Vecchio

Italocarioca è il quarto album da protagonista del sassofonista veneziano Nagual, alias Giovanni Ancorato (il nome è tratto dalla tradizione indigena del Messico), e arriva dopo il debutto Quintessenze (Caligola), Private Dancer (Alfa Music) e Sketches (Caligola), uscito tre anni fa. Anche in questo lavoro tutti i brani, composti da Nagual, sono caratterizzati da una sintesi di jazz e musica brasiliana. L’apertura alle culture africana, asiatica e latinoamericana è sempre stata una caratteristica del jazz di Nagual, un sassofonista veterano che le ha distillate nelle registrazioni, rendendole tutte preziose. Nagual entra in studio di registrazione solo quando sente di avere davvero qualcosa da dire. In questo caso rivela apertamente e spudoratamente tutto il suo grande e viscerale amore per la musica popolare brasiliana, non solo samba e bossanova.

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Francesco D’Auria – Lunatics (Caligola Records, 2022)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Nel nostro immaginario il batterista è l’elemento notoriamente più “eccentrico” all’interno di una qualsiasi band. Ci ricordiamo tutti le mostruose macchine percussive di molti gruppi rock e le esibizioni un po’ narcisistiche e muscolari di certi musicisti molto attenti, oltre al loro indubbio apporto ritmico-tecnico, anche all’apparenza un po’ maudit del loro ruolo. Nel jazz questa presenza esibizionista non è mai stata così evidente ed inoltre l’attività di composizione di molti storici batteristi ha contribuito ad una maggior integrazione con gli altri strumentisti, avendo come obiettivo la creazione d’un insieme organico e produttivo, piuttosto di un’esposizione autocompiaciuta. Anche all’interno della categoria ci sono però orientamenti diversi. C’è chi punta sulle poliritmie, sulla pulsazione ritmica, insomma sul motore cardiaco dell’intera attività strumentale di una band. C’è invece chi, come ad esempio Massimo Barbiero o appunto Francesco D’Auria, sembra più attento ad utilizzare le percussioni come fossero elementi melodico-armonici, alla ricerca di una personalità sonora che non faccia quasi avvertire le evidenti differenze di natura con altri strumenti musicali. D’Auria è uno di questi, forte di un’esperienza vastissima, avendo suonato nella sua carriera in molti contesti e con musicisti di estrazione e tendenza eterogenea. Nonostante questo suo ultimo lavoro Lunatics lo veda come unico “leader” in un superquartetto tutto italiano, in realtà la discografia di D’Auria è ricca e composita e a parte le numerose collaborazioni, si contano oltre una dozzina di pubblicazioni discografiche in cui appare il suo nome come co-protagonista. A fianco del batterista troviamo Tino Tracanna al sax soprano, Umberto Petrin al pianoforte e Roberto Cecchetto alla chitarra e agli effetti elettronici.

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Baba Sissoko with Jean-Philippe Rykiel, Madou Sidiki Diabate, Lansinè Kouyatè – Griot Jazz (Caligola Records, 2021)

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Recensione di Aldo Pedron

Il progetto Griot Jazz nasce in maniera curiosa e quasi occasionale durante la residenza per l’allestimento dell’opera musicale Le Vol Du Boli al Teatro di Chatelet di Parigi, in cui sono coinvolti tre musicisti maliani (del Mali), Baba Sissoko (voce, ngoni, tama) e Lansiné Kouyaté (balafon), già noti in Europa (il primo vive in Italia, il secondo in Francia) ed il più giovane tra loro Madou Sidiki Diabate (kora), che risiede ancora in Mali. I tre per un certo periodo suonano sempre assieme, tutti i giorni, sia prime delle prove che durante le pause dello spettacolo, e dopo un mese Baba Sissoko ha già scritto abbastanza materiale da sentire l’esigenza di registrarlo prima che ciascuno torni alla propria casa. Lansiné, che vive a Parigi, prenota quindi lo studio di registrazione di un amico musicista francese, il tastierista Jean-Philippe Rykiel, classe 1961, cieco dalla nascita, che ascoltandoli provare, sente il desiderio di sedersi al piano e suonare con loro. Le sue tastiere sembrano integrarsi alla perfezione con la musica del trio, tanto che gli viene chiesto di aggiungersi al gruppo. La grande libertà mostrata nell’interpretare la musica africana, le tastiere creative di Rykiel, così come il grande spazio lasciato all’improvvisazione, sembrano avvicinare molto la musica del Mali al jazz, e non è un caso che il brano che dà il titolo all’album Griot Jazz, sia forse il più riuscito esempio di questa brillante fusione. Seppur nato fortuitamente, il progetto e il disco non sembrano così casuali.

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SirJoe Polito – My Friend Ry (Gutenberg Music / Caligola Records, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Aldo Pedron

Ry Cooder è un maestro indiscusso della chitarra bottleneck e probabilmente lo strumentista più eclettico e poliedrico che il rock abbia mai prodotto. La sua abilità e versatilità non si limita ad un eccelso stile compositivo ed esecutivo ma è soprattutto un abilissimo tessitore e rielaboratore di canzoni e melodie altrui, un piccolo genio che con il suo inconfutabile modo di riarrangiare traditional o pezzi sconosciuti e dimenticati li trasforma in ultima analisi come fossero pezzi di sua scrittura.

Operazione ardua, anzi difficilissima quella di reinterpretare Ry Cooder senza copiarlo o dissacrarlo, Sergio Polito, in arte SirJoe (classe 1960 da Mestre, Venezia) invece c’è ampiamente riuscito. Si capisce subito quando amore e passione sono sinceri e Sergio Polito ci dimostra dalle prime note la sua genuinità, ricamando con le sue chitarre i giusti fraseggi in un omaggio a Cooder onesto e rispettoso, quasi avesse voluto imparare dal celebre chitarrista californiano quella lezione di come si re-interpretano i brani altrui.

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Emanuele Sartoris & Daniele Di Bonaventura – Notturni (Caligola Records, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Aldo Pedron

Due artisti, musicisti, compositori di ottima levatura, impegnati in vari progetti ed incisioni.

Emanuele Sartoris unisce un’intensa attività concertistica a quella didattica, dai seminari fino all’insegnamento presso il Conservatorio di Torino ed approdato alla musica jazz frequentando seminari di improvvisazione e orchestrazione fino al diploma e la Laurea in Composizione ed Orchestrazione Jazz sotto la guida di Dado Moroni. In questo periodo è impegnato discograficamente in tre progetti con il chitarrista Maurizio Brunod nel suo Ensemble dove è presente anche Daniele di Bonaventura, in Woland disco del quale è co-firmatario insieme al percussionista Massimo Barbiero e la violinista Eloisa Manera e un disco a 4 mani con il pianista classico Massimiliano Gènot dal titolo Totentanz-Evocazioni Lisztiane. Emanuele Sartoris è un attivissimo pianista oltre ad essere protagonista del programma Nessun Dorma della RAI con l’ensemble Night Dreamers.

Daniele di Bonaventura nato a Fermo nelle Marche, compositore-arrangiatore, pianista-bandoneonista. Una formazione musicale di estrazione classica (diploma in Composizione) iniziata a soli 8 anni con lo studio di pianoforte, violoncello, della composizione e della direzione d’orchestra. Ha suonato nei principali festival italiani ed internazionali. Nel 2014 ha collaborato alla colonna sonora del film Torneranno i prati diretto da Ermanno Olmi. A Marzo 2015 ha pubblicato un CD in duo con Paolo Fresu sempre per la ECM intitolato In Maggiore e in contemporanea il film-documentario Figure musicali in fuga del regista Fabrizio Ferraro in cui vengono ritratti i due musicisti durante la sessione di registrazione a Lugano insieme a Manfred Eicher. Al suo attivo più di 90 dischi con svariate etichette ed edizioni.

Questo nuovo progetto invece è un disco interamente dedicato ai notturni e alle sue atmosfere rarefatte, brani originali firmati da Emanuele Sartoris e Daniele di Bonaventura.

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Francesco Chiapperini – On the Bare Rocks and Glaciers (Caligola Records, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

Avevo ascoltato alcuni dei pezzi di On the Bare Rocks and Glaciers, la scorsa estate a Novara (qui il report – ricordo che Francesco Chiapperini fa parte del Novara Jazz Collective) e ne avevo avuta un’ottima impressione. Del resto lo sapevo già e non avevo certo bisogno di conferme: Francesco Chiapperini è un musicista completo e un “cacciatore” di suoni di prima grandezza sia che si tratti di marce funebri pugliesi si che si tratti di canti alpini, il suo rapporto con la musica popolare è piuttosto stretto. On the Bare Rocks and Glaciers è un magnifico lavoro che affonda le sue radici nella musica tradizionale di montagna e sviluppa i suoi rami nel jazz, anche in quello di ricerca e attraverso alcune composizioni originali.  

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