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Zeno De Rossi

Micah P. Hinson – I Lie To You (Ponderosa Music Records, 2022)

R E C E N S I O N E


Articolo di Sabrina Tolve

Tessera conclusiva del mosaico del passato, I Lie to You è l’ultimo di Micah P. Hinson – il dodicesimo, ad essere precisi.
Su questo telaio fitto, persistente e coerente, il cantautore texano ha disegnato i primi trent’anni della sua vita, divincolandosi così dai lacci che lo costringevano a guardarsi indietro e mai avanti: I Lie to You è diventato quindi una promessa, quella di venir fuori da una trappola di dolore e finalmente salvarsi, guardando al futuro.
Registrato in Irpinia in soli cinque giorni con il supporto del percussionista Zeno De Rossi, del contrabbassista Greg Cohen, e Raffaele Tiseo agli archi, l’album è stato prodotto da Alessandro ‘Asso’ Stefana, che ha lavorato con PJ Harvey e Mike Patton, per la Ponderosa Music Records che si è occupata, tra gli altri, di Blonde Redhead, David Byrne, Madrugada, Patti Smith, Terry Riley, e i Jesus and Mary Chain – che tanto hanno ispirato Hinson durante i suoi primi anni di formazione.

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Unscientific Italians – Play The Music of Bill Frisell Vol. 2 (Hora Records, 2022)

R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

All’uscita di un nuovo disco, molto atteso, non nego di essere curioso come un bambino, anche per poter godere della “copertina” (oggi ”cover”). Si tratta certamente di un retaggio infantile, ma è innegabile, che la cover ha un certo peso, anche oggi, dove “l’oggetto-disco” praticamente non esiste più (eccezione gucciniana a parte). E siccome l’uscita del secondo volume di Unscientific Italians Play The Music of Bill Frisell (Hora Records), mi intrigava e non poco, ho accolto con grande soddisfazione la magnifica grafica di un amico come Francesco Chiacchio, che ha curato l’operazione su un disegno originale di Frisell e con un prevedibile, ottimo risultato. Splendida la confezione, e la musica? Anche qui nutro un vecchio pregiudizio: difficilmente a grafiche tanto raffinate possono corrispondere contenuti deludenti. E infatti, anche in questo caso, il contenuto è letteralmente entusiasmante. Se il primo Unscientific Italians valse a Bill e ai suoi musicisti il premio della critica “Band of the Year 2021”, il secondo volume, anche se per il calcolo delle probabilità non potrà avere ancora un simile riconoscimento, non è da meno.

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Francesco Bearzatti – Portrait of Tony (Parco della Musica Records, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

C’è chi considera la ricerca del “senso della vita” una prigione mentale, una delle tante che l’Uomo si costruisce beandosi poi di abitarla. Così almeno la pensava l’intellettuale indiano Krishnamurti. C’è chi invece, come lo psicoanalista C.G.Jung, sostiene il contrario, per cui l’individuo veramente liberato è colui che insegue il vero sé stesso, trovando la propria essenza al di là di tutte le maschere sociali e personali che abitudinariamente indossa. Non so come la pensi Francesco Bearzatti a proposito, ma ho l’impressione che il suo metodo di ricerca sia assolutamente peculiare. Abituato a tracciare in profondità il profilo musicale di artisti dalle personalità multiformi – Tina Modotti, Malcom X, Woody Guthrie, John Coltrane o creature di fantasia come Zorro – oggi lo vediamo concentrare lo sguardo sul leggendario Tony Scott, il grande clarinettista italo-americano scomparso a Roma nel 2007. Forse, attraverso il proprio “sentire”, Bearzatti accarezza le storie personali, il carattere, le complessità individuali dei suoi “omaggiati” ed è per mezzo di loro che egli cerca di chiarire sé stesso, elaborando il tutto come uno specchio concavo che focalizzi al centro le riflessioni, i pensieri, i progetti e i sogni altrui. Per capire chi era Tony Scott al di là della sua musica, è molto utile vedere il docu-film di Franco Maresco che trovate su YouTube,“Io sono Tony Scott”. Il film ci mostra, direttamente o attraverso le interviste fatte a familiari e a musicisti americani e italiani che ebbero a che fare con lui, i lati più inquieti del suo carattere, un narcisismo esasperato, sfumato da comportamenti paranoidi e dalla gran paura di non essere valutato per ciò che è stato veramente, un musicista che ha fatto la storia del jazz.

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Unscientific Italians – Play The Music of Bill Frisell Vol. 1 (Hora Records, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

Lo dico subito, così mi tolgo il pensiero: quando mi trovo davanti ad un “Omaggio a…” oppure a un “Tributo a…” divento sempre sospettoso, preoccupato e anche un po’ svogliato. Gli omaggi e i tributi sono ormai troppi. Sono spesso inutili, altri sono ripetitivi, qualche volta stucchevoli e, solitamente, tutti lasciano in me il desiderio dell’originale. Naturalmente ci sono delle eccezioni, rare, ma ci sono, come è il caso di Unscientific Italians play the music of Bill Frisell. Istruzioni per l’uso: prendete pezzi noti e meno noti del grande musicista statunitense, dateli in mano a cinque grandi musicisti italiani, trasformate “Unscientific americans” in “Unscientific italians” ed il gioco è fatto. Scherzi a parte, il disco edito dalla nuova etichetta Hora Records, uscito il 21 maggio, ha in sé qualcosa di nuovo, di fresco e un pizzico di genio e (s)regolatezza. Si tratta di una “riscrittura intelligente” se così possiamo dire, frutto di un gioco di equilibrio e calibrature sulle partiture originali di Bill Frisell che, se da un lato ne modificano combinazioni strumentali, sfumature, colorazioni, dall’altro non stravolgono il contesto musicale friselliano, lasciandone immutato il fascino e l’ambientazione. Se per omaggiare un grande musicista, spesso occorre estro e coraggio, per fare un lavoro di questo genere occorrono due doti che, sia in campo musicale che artistico in senso lato, non sono poi così frequenti: l’intuizione e l’umiltà.

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Francesco Bearzatti Tinissima 4et – Zorro (Cam Jazz, 2020)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Chi ha più o meno la mia giurassica età non potrà non ricordarsi di Zorro, il romantico giustiziere mascherato protagonista di una serie televisiva che negli anni ’60 veniva trasmessa ogni domenica pomeriggio in uno spazio apposito dedicato ai ragazzi. Prototipo di quei personaggi dalla doppia identità che popoleranno la letteratura fantastica moderna, da Superman a Batman fino ai personaggi di quei fumetti “neri” che conosceranno proprio in Italia una loro dorata stagione, Zorro nasce da un’invenzione dello scrittore Johnston Mc Culley negli anni ’20 e conoscerà fama e fortune cinematografiche che perdureranno fino ai giorni nostri. Come non ricordare la sigla di quei cortometraggi, originariamente lanciata dai Mellomen e ripresa e tradotta in italiano dai dimenticatissimi  – ma spiritosi – Zig Zag Ensemble? E come scordare il fascino emulativo di quel mantello nero, autentico feticcio e oggetto di desiderio di tutti noi maschietti durante il periodo di Carnevale?

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Paolo Bacchetta Yerkir – The Storytellers (Auand, 2020)

R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

Ho sempre un po’ di timore ad ascoltare un lavoro discografico, dove la chitarra elettrica la fa da padrone. È un pregiudizio, lo so. Purtroppo per chi è cresciuto a Jimi Hendrix, Carlos Santana, Eric Clapton, Pat Metheny, Paul Motian e Leo Kottke, tanto per buttare lì (a casaccio), un po’ di nomi che siano congruenti con la mia età, tutto il resto tende a sembrare una vana rincorsa a qualcuno di irraggiungibile. Discorso stupido? No, profonda ed inconscia verità, depositata e sedimentata nel cuore. Mi ci vogliono sempre due o tre brani prima che io riesca davvero a concentrarmi sulle sonorità di una chitarra.

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Un concerto al giorno. Giorno05. Guano Padano

Diario quotidiano di Domenica D’Agosto #unconcertoalgiorno

Al galoppo verso il Carroponte

Non sapendo dove passare la serata, ho chiesto consiglio ad amici esperti e alla risposta “ci sono i Guano Padano” ho subito simpatizzato ed optato per assistere all’esibizione del gruppo nostrano. Durante il breve tragitto da casa, leggo due info su Wikipedia e scopro con piacere che si tratta di un gruppo definibile folk-rock, nato dall’incontro della chitarra di Alessandro “Asso” Stefana (V. Capossela), il basso di Danilo Gallo e le percussioni di Zeno De Rossi

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Eloisa Atti – Edges (Cose Sonore / Alman Music, 2018)

Articolo di Andrea Furlan

“Siamo fatti della stessa sostanza sogni e la nostra piccola vita è circondata dal sonno.” (William Shakespeare, La Tempesta, Atto IV)

L’immagine di copertina, tratta dal ciclo Le sognatrici della designer Paola Cassano, è la chiave d’accesso al mondo fantastico di Eloisa Atti, cantante e musicista bolognese, qui ritratta sullo sfondo di un cielo stellato, intenta a suonare con gli occhi chiusi la concertina, evocativa rappresentazione dell’universo sonoro suggestivo e intrigante che stiamo per scoprire. Il sogno è lo strappo nella tela del reale, il luogo delle infinite possibilità che la musica, arte impalpabile per sua natura, riesce a cogliere e tradurre nel variopinto intreccio di generi e sensibilità. Una sognatrice, come lei stessa si definisce, che ha realizzato il proprio sogno americano utilizzando i materiali offerti da country, jazz, blues e gli stilemi del pop più raffinato ed elegante secondo una prospettiva melodica tutta italiana.

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Sam Amidon & Guano Padano – Da Cantù un ponte gettato tra Italia e America

Live report di Andrea Furlan Immagini sonore di Roberto Bianchi

Quella strana vecchia America.

Lui, Sam Amidon, cantautore estroverso, divaga dal folk tradizionale verso ardite sperimentazioni sonore, loro, i Guano Padano, indomiti esploratori dalla via Emilia al West, oltrepassano i confini della musica strumentale mixando spaghetti western, tex-mex e free jazz, entrambi con la mente ben aperta al nuovo e disponibili all’incontro. Due mondi apparentemente lontani che trovano invece molti punti in comune. Lo ha dimostrato il concerto di cui sono stati protagonisti a Cantù nell’accogliente club All’1&35circa di Carlo Prandini che ancora una volta ha messo in cartellone due nomi decisamente interessanti.

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