R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Chi ha più o meno la mia giurassica età non potrà non ricordarsi di Zorro, il romantico giustiziere mascherato protagonista di una serie televisiva che negli anni ’60 veniva trasmessa ogni domenica pomeriggio in uno spazio apposito dedicato ai ragazzi. Prototipo di quei personaggi dalla doppia identità che popoleranno la letteratura fantastica moderna, da Superman a Batman fino ai personaggi di quei fumetti “neri” che conosceranno proprio in Italia una loro dorata stagione, Zorro nasce da un’invenzione dello scrittore Johnston Mc Culley negli anni ’20 e conoscerà fama e fortune cinematografiche che perdureranno fino ai giorni nostri. Come non ricordare la sigla di quei cortometraggi, originariamente lanciata dai Mellomen e ripresa e tradotta in italiano dai dimenticatissimi  – ma spiritosi – Zig Zag Ensemble? E come scordare il fascino emulativo di quel mantello nero, autentico feticcio e oggetto di desiderio di tutti noi maschietti durante il periodo di Carnevale?

Nel centesimo anniversario dell’uscita del primo film su Zorro (1920, “Il segno di Zorro” con i baffetti di Douglas Fairbanks) Francesco Bearzatti e i suoi Tinissima 4tet dopo aver dedicato alcuni ottimi lavori a Tina Modotti, Malcom X, Woody Guthrie e Thelonious Monk hanno scelto questa volta un personaggio di fantasia su cui focalizzare la propria attenzione. I Tinissima 4tet sono un super quartetto formato, oltre che da Bearzatti, da Giovanni Falzone alla tromba, Danilo Gallo al basso elettrico e Zeno De Rossi alla batteria. I quattro bastano a sé stessi, collaudati come sono, e approfittano della loro creatività per tracciare delle storie immaginarie che con un pizzico di fantasia e d’ironia vengono ad animarsi nella nostra mente con tutti i personaggi di McCulley che abbiamo imparato a conoscere. I quadri così proposti scorrono come frammenti di un nuovo film in cui i ruoli son sempre gli stessi ma le interpretazioni soggettivamente diverse. Così ci si raffigura, ciascuno a modo proprio, le uscite notturne di Zorro che salta sul proprio cavallo Tornado, i goffi inseguimenti dei gendarmi, l’elegante alter-ego Don Diego della Vega assistito dal fedele e muto Bernardo, la sua casa spagnoleggiante, l’amore per Lolita Prideaux.
Diciamo subito che il lavoro in questione, oltre che dalla passione e anche da una certa evidente simpatia per il personaggio, si arricchisce di una qualche dose di umorismo, tangibile ad esempio nel brano dedicato al Sargento García, il simpatico e grasso sott’ufficiale sulla cui pancia Zorro si diverte a siglare la sua famosa zeta in punta di spada. Un’andatura claudicante, simulata da un iniziale tempo in 2/4 palleggiato da un basso tuba (o almeno così mi sembra) da un lato e dal clarino e dalla tromba dall’altro, traccia come in un cartone animato il passo pesante e incerto dello stesso sergente. Il disco apre comunque proprio con Zorro, poco più che una sigla idonea e perentoria, che verrà poi ripresa nella parte finale dell’opera. Tierra India, il secondo brano in scaletta, assume, col flauto di Bearzatti, un’inaspettata colorazione a metà tra il suono andino e quello medioevale europeo che vagamente ricorda una danza cortigiana. Un fischio solitario prelude inaspettatamente ad un’atmosfera mariachi in El regreso con un bell’assolo di Falzone (ma quante cose sa fare quest’uomo? Ogni volta che lo pesco in qualche concerto dal vivo mi stupisce…) a precedere una conclusione rockeggiante che rimanda echi, non so quanto volontari, dei Los Lobos. Ago Mai inizia con un bel colloquio tra sax e tromba che poi prosegue con un andamento squillante fino a terminare in un’atmosfera rarefatta gestita in chiusura da un ulteriore bella accoppiata, questa volta tra sassofono e basso elettrico. Il seguente brano, Bernardo, offre l’occasione di ricordarci come il duo Bearzatti-Falzone sia composto da veri jazzisti e il vecchio, caro bebop, riemerge dalle brume tirandosi dietro basso e batteria come in uno dei tanti bei dischi d’una volta… Il tema del doppio, in Lolita, ovvero dell’incertezza e dell’incapacità di unire gli opposti, pone il dubbio su chi sia il preferito dalla nobilsignora: l’elegante ma pigro Don Diego o il misterioso eroe nerovestito difensore degli oppressi? Il clarino pare ondeggiare, indeciso sulla scelta da compiere. La batteria suona in tempi interi e tutto prende una colorazione rock sulla scia di certe suggestioni che mi hanno riportato ai tempi dei King Crimson. Un’onda analoga prosegue con Tornado e sarà perché sto leggendo una rivista con vecchi articoli sui Gong di David Allen ma il cavallo di Zorro mi sembra più psichedelico di quanto non si voglia far credere. Poi la sigla finale cadenzata da un ficcante giro di basso ma non mandatemi al diavolo se ci ho canticchiato sopra Seven Arny Nation, il tormentone dei White Stripes. In definitiva questo è un disco che trovo divertente, coinvolgente, a tratti esplosivo però non privo di momenti più malinconici. Nessun romanticismo, sia chiaro, ma un occhio di riguardo alla dimensione della memoria che, col passare del tempo, diventa inevitabilmente più prepotente e non solo per Bearzatti & C.

Tracklist:
01. Zorro
02. Tierra India
03. El Regreso
04. Algo Mal
05. Bernardo
06. Sargento García
07. Lolita
08. Tornado
09. El Triunfo Del Zorro