Articolo di Giovanni Carfì

Secondo disco per i Campos, band pisana composta da Simone Bettin, voce e chitarra, Davide Barbafiera all’elettronica e Tommaso Tanzini al basso. Nascono ufficialmente nel 2011, dall’idea del cantante Simone, e da Davide, il cui intento era unire il suono della chitarra folk, con basso e percussioni elettroniche. I primi passi vennero mossi a Berlino, a causa del trasferimento di Simone nella capitale tedesca, dove si unì a loro una bassista australiana di estrazione classica, Dhari Vij. Questa parentesi diede loro modo di esibirsi in vari club, e parallelamente di lavorare alle registrazioni del loro primo lavoro, dal titolo “Viva”, registrato nel 2015 e dato alle stampe nel 2017. Nello stesso anno, il basso passa nelle mani di Tommaso Tanzini, che entra in pianta stabile nella band, e insieme portano in giro per l’Italia il loro album in versione live.

CAMPOS 1 - Ph. Courtesy DuesudueOK.jpg

Arriviamo ora al 2018, quando a gennaio vengono gettate le basi per il nuovo lavoro dal titolo: “Umani, vento e piante”, e che dopo una gestazione estiva, vedrà le stampe il 9 novembre; cosa aspettarsi?

Un contenitore sonoro di esperienze, un ultimo anno di situazioni differenti tra loro, ma che hanno dato vita ad un disco compatto; nella forma, e nelle sonorità molto particolari. Un suono che gioca molto sul ritmo, con delle percussioni che in alcuni frangenti hanno un qualcosa di tribale, per poi rientrare e fare da battistrada ad un cantato di tipo cantautorale.

campos_3000pxOK

Il disco si apre con “Passaggio”, “Qualcosa cambierà” e “Take me Home”, brani che nonostante parlino di situazioni disparate tra loro, (dal moto dato dal mutamento di una situazione, ad una storia di cuori spezzati, per poi passare ad una passeggiata in un luogo sconosciuto), hanno lo stesso andamento, con la chitarra folk che si intreccia a basso ed elettronica, in modo abbastanza lineare. I testi come per tutto il resto dell’album, sono cantati in seconda o terza persona, in modo da porre l’ascoltatore ad una certa distanza, e se non bastasse, la scelta di utilizzare un linguaggio di tipo narrativo/metaforico, giocando su assonanze, e suoni stessi delle singole parole, poste ad incastro con il resto della musica.

CAMPOS 3 - Ph. Courtesy DuesudueOK

Alcuni brani hanno una marcia in più rispetto ad altri, “Bughialenta” su tutti, nonostante la sua brevità, regala un momento più dolce, con quelle note cristalline d’apertura, consolatrici e materne, “Batte lo scalpello sul muro, più forte del cuore sicuro…”, con un’aspettativa dall’altra parte, polvere che cela qualcosa o qualcuno. Rumori materici che si sposano a perfezione con la parte ritmica del brano, e che ritroviamo anche in altri pezzi, come in “Colibrì”, paragone utile per rappresentare la perdita di una persona, e per combattere l’impotenza generata da certe situazioni, e dove si nota molto il lato più cantautorale.

CAMPOS 2 - Ph. Courtesy DuesudueOK

Tutto l’album, tranne piccolissimi frangenti, è pervaso da una sensazione di malinconia, di insoluto, che canzone dopo canzone ne fa da collante; altra canzone che risente maggiormente di questo, si intitola “Schiena di bue”, e già dall’immagine restituita dal titolo, abbiamo una sorta di visione tribale/mistica, esaltata dalle seconde voci che armonizzano in sussurri e che accompagnano il ritornello, ripetuto in modo “mantrico”. Un brano che parla di una mutazione fisica, di un corpo animale, un cambiamento necessario per sbloccare uno stato mentale, uno stato di stasi. Altri “sussurri” li ritroviamo verso la fine del disco, nella canzone “Senza di te”, dove un loop ritmico quasi ossessivo, fa da base allo spettro di un’altra mancanza, una dipendenza da qualcuno o da qualcosa, e sfuma leggera come una piccola parentesi prima della vera fine con il brano “S”. Questo riprende ancora il tema della dipendenza, ma senza la voglia da parte del protagonista di uscirne, anzi cela la comodità di restare in quella situazione; classico brano più improntato su voce e chitarra e abbastanza classico nella sua forma, anche se in realtà nasconde qualcosa…

Quel che colpisce di questo lavoro, sono proprio le sonorità, quell’atmosfera data dall’elettronica che viene usata come elemento ritmico principale, necessario e non invasivo, e i testi che aprono ad immaginari sempre diversi. Un lavoro pesato, dove non ci sono sbandate o brani che poco c’entrano, anzi risentono tutti quanti della stessa matrice, e di una volontà comune specifica.