I N T E R V I S T A
Articolo di Andrea Notarangelo
Jamila è una giovane cantautrice che racconta storie intime attraverso canzoni delicate. I testi sono diretti, ma riescono ad accarezzarti anche quando hai sbattuto contro un muro senza imparare la lezione. La sua musica è caratterizzata da un flusso di parole di giovani anime che ritrovano sé stesse dopo delusioni e attendono con trepidazione il momento in cui la loro vita svolti. L’abbiamo incontrata in occasione dell’uscita del suo album d’esordio, Frammenti, per sapere qualcosa di più del suo mondo e del suo processo creativo.
Le storie che racconti mi sembrano riflettere la tua giovane età. Tra le righe si possono riconoscere ragazze e ragazzi che aspettano la vita, che si aspettano il momento in cui cambierà il mondo e che si interrogano sul loro domani. Ritieni sia corretta come definizione?
Ad oggi credo sia una delle letture più pura e sincera mai stata fatta sulla musica che scrivo. Ti ringrazio perché spesso capita che nelle domande ci sia una strumentalizzazione che mi invita a parlare nelle risposte di cose che di cui non voglio parlare. È così, la definizione è corretta e sinceramente sento di poter aggiungere poco perché sono notevolmente colpita dalla perspicacia e la delicatezza con cui è stata descritta. Posso solo dire che tu abbia ascoltato davvero la mia musica.
Quasi in antitesi rispetto alla domanda precedente, noto una certa maturità nell’uso delle parole. Vorrei citare “Gesù”, canzone nella quale c’è un verso che non può non stamparsi in testa: “fino ad ora ho imparato che per ogni peccato c’è anche un attimo di pace, del resto cosa ci stupiamo, nati dal profano, originali solo nel peccato. Se siamo umani è perché abbiamo sbagliato, quindi calma e prendi fiato”. Quanto ha contato l’hip-hop e il rap in generale, nei tuoi ascolti adolescenziali?
Mi sono avvicinata all’hip hop quando avevo 15/16 anni, perché nel mio vecchio quartiere, i ragazzi che frequentavo io, si cimentavano nel freestyle, e dopo anche nella scrittura. La prima canzone che sono riuscita a partorire infatti era un testo rappato, che conoscono solo vecchi amici e amiche, che scrissi sotto le prime influenze hip hop, ma soprattutto sotto le influenze di Rancore, ad oggi ancora uno dei miei scrittori preferiti. L’hip hop poi porta la voce di una controcultura, una storia sub alterna, nella quale mi sono sempre rivista e sentita più accetta piuttosto che nel normale pop, o nell’indie.

Il tema del “mare” è presente nelle tue canzoni, “ha un fare irriverente, se vuole ti prende e ti porta giù”. Inoltre, hai scritto “Storia”, dopo una serata particolare trascorsa al mare. Quanto è importante per te l’elemento acquatico? Legato a questo, quanto ti senti vicina ad artisti quali Cristina Donà? Forse avete degli stili diversi, ma la tua voce pulita mi ha fatto tornare con la memoria alla sua “Terra Blu”.
Ti ringrazio per il parallelismo, ma non sono troppo vicina a cantautrici o cantautori moderni, in generale mi mancano molti pilastri femminili, che grazie ad una buona e nociva cultura patriarcale conosco solo negli ultimi anni 🙂 . L’elemento del mare però mi accompagna da tutta la vita, ho sempre amato l’acqua della terra e odiato quella della piscina, fin dalla mia tenera età, ma in generale ciò che amo è il modo in cui questo elemento ti permette di essere fluido. Con la crescita la vicinanza all’acqua si è intensificata e verso il mare e l’oceano, distese infinite, ho sviluppato un fascino e un’attrazione magnetica. Li vedo come portatori di storie, tante storie, come potenze materne capaci di accogliere i sogni, come di portarli via. Dentro la forza del mare vedo l’imprevedibilità e la magnificenza della forza del nostro pianeta, che poi rivedo anche in corsi d’acqua dolce, dove negli ultimi anni preferisco andare.
Torno ancora al brano “Storia”, ho trovato interessante la tua dichiarazione sul fatto che quel testo si è praticamente scritto da solo. In genere come avviene il processo di scrittura? Hai già ben chiaro cosa comunicare, oppure lasci che il testo si scriva per poi operare in seguito una riflessione? Personalmente, nelle tue parole ho trovato vivo il tema dell’incomunicabilità, ma anche dell’incertezza. Vi sono castelli di carte e speranze accese su un lieto fine. Cosa ne pensi?
Ogni volta parlare di come avviene il processo creativo in me risulta sempre uno sforzo, perché è qualcosa di molto privato l’atto creativo per me e mostrarlo agli altri mi fa sentire nuda e vulnerabile. Sto imparando però che nella vita, per viverla come desidero io, per coglierne gli aspetti profondi e molto spesso incomunicabili, è necessario essere nudi e vulnerabili. Non esiste un modo preciso in cui avviene l’atto creativo, nel senso che non avviene sempre nello stesso modo. Il primo album, EGO, fu un’occasione di scavarmi dentro, dove dovevo portare a termine un album ed era una continua ricerca, scavare, scavare, scavare. Dopo però le cose sono un po’ cambiate, avevo scavato tanto l’interno, vedendo solo il mio ego e parlando solo di quello e avevo tralasciato l’esterno e come questo si infrangeva su di me: li è iniziato un metodo di ascolto diverso, anche molto illuminante in parte, perché come “Storia” che si è scritto da solo, sono nati spontaneamente personaggi molto definiti dentro di me. Adesso invece sono in un’altra fase ancora, nella quale le parole usate finora non mi bastano più, le prose e i metodi di scrittura vecchi mi fanno sentire rinchiusa e quindi son in costante fuga da tutto ciò che è concreto e preciso, perciò non parto con un’intenzione diretta, ma più con un’idea vaga dell’emozione che voglio esorcizzare e delle immagini su cui voglio far riflettere.

L’ultima domanda è un po’ una provocazione. Com’è possibile coniugare “La dottrina delle piccole cose” all’interno dello showbiz? Jamila ci sarà sempre per un caffè con un amico?
Jamila, che tendenzialmente preferisce il the, ci sarà sempre per prendersi momenti semplici e colloquiali, con chiunque abbia voglia di riflettere, ascoltare e discutere di massimi e minimi sistemi (quest’ultima cosa è volutamente un cliché).
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