I N T E R V I S T A
Articolo di Luca Franceschini
Potrebbe essere che in futuro Tutti amiamo senza fine, il terzo disco dei Siberia, venga considerato come “quello della svolta Pop”. In realtà il quartetto livornese, con questa etichetta ci ha sempre flirtato e non solo per l’inno, ironico sì ma anche un filino programmatico, Nuovo Pop italiano, traccia di punta del precedente Si vuole scappare. Dopo anni a battere i territori dell’immediatezza melodica, seppur declinati all’interno di un’appartenenza, volontaria e non, all’immaginario Wave e Post Punk che fa capo a mostri sacri come i Joy Division o a realtà più recenti come gli Editors, i Siberia hanno deciso di liberarsi del tutto da etichette che rischiavano di relegarli per sempre in una dimensione di scontatezza e prevedibilità.
Tutti amiamo senza fine, che arriva all’indomani di un prezioso sodalizio con la Sugar, a cui va ad affiancarsi il sempre solido rapporto con Maciste Dischi (la band è tra l’altro tra le primissime ad aver fatto ingresso nel roster dell’etichetta romana), farà probabilmente storcere il naso ai fan più oltranzisti ma la verità è che è l’album che potrebbe sdoganare finalmente il nome dei Siberia all’interno dei giri che contano. Ne abbiamo parlato con Eugenio Sournia (voce), Cristiano Sbolci Tortoli (basso), Luca Pascual Mele (batteria) e Matteo D’Angelo (chitarra), tentando idealmente di riprendere il discorso da dove l’avevamo lasciato l’ultima volta, circa un anno e mezzo fa.
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