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David Bowie

Ian Curtis e i Joy Division: Iperacusia di una giovane anima

R O C K M E M O R I E S


Articolo di Andrea Notarangelo

Le persone vivono e muoiono, alcune nascono due volte e vivono per sempre. Questa storia comincia dalla fine, per la precisione dal 18 maggio 1980; ma ad essere sinceri avrebbe potuto iniziare poco prima, il 15 giugno del ’79 ad esempio, quando uscì Unknonw Pleasures, o forse agli sgoccioli della vicenda, il 18 luglio dell’80, quando Closer, secondo e ultimo disco della band, venne dato alle stampe e riempì gli scaffali di tutti i negozi di dischi, prima del Regno Unito e in seguito di tutto il mondo. Il 18 maggio però è una data emblematica; si tratta del momento in cui la storia terrena di Ian Kevin Curtis, cantante e autore di tutti i testi del suo gruppo, s’interruppe bruscamente. E a seguire arrivò la leggenda con annesso bagaglio di verità e fantasie mescolate assieme. Nonostante il tragico atto, la fama del nostro protagonista crebbe poco alla volta; senza fornire qui un excursus storico pieno di date e citazioni, è necessario però dare un ordine e narrare dell’opera breve ma intensa che contraddistinse la dark band per antonomasia. I Joy Division.

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Ryuichi Sakamoto – 12 (Milan Records, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Andrea Notarangelo

Accompagnato da una sola lettera firmata e non da un tradizionale comunicato stampa, 12, il nuovo album di Ryuichi Sakamoto, si presenta come un’opera strana e disturbante. Non è un disco semplice e non è mai facile aver a che fare con musicisti affermati, soprattutto se stanno affrontando un momento complesso della propria esistenza. La lettera poco sopra menzionata, è scritta dall’artista di suo pugno e ci vuole informare sulle sue condizioni fisiche e sul fatto che sta lottando per poter continuare a fare ciò che più gli piace nella sua vita. Incipit d’obbligo. Chi si trova a recensire dischi, lo si fa non appena possibile sempre alla costante ricerca del tempo perduto e quando l’uscita del lavoro dell’artista è imminente. O anche qualche giorno prima, presumibilmente per battere sul tempo altri colleghi. O forse, per dimostrare con quanta semplicità è possibile pubblicare uno scritto di qualche centinaio di parole. Trovo tutto questo abbastanza irrispettoso, perché sono d’accordo sui tempi stretti che caratterizzano l’attuale società dei media, ma in questo modo si rischia di parlare di qualcosa perché se ne deve parlare e non perché si ha il piacere di farlo. In questo modo entrare in contatto con qualcuno e interiorizzare il suo operato, diventa difficile a prescindere dai propri gusti e dai valori soggettivi che inevitabilmente attribuiamo.

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Duran Duran – Future Past (BMG, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Stefania D’Egidio

Senza pensarci troppo, il mio amore per la musica nasce proprio con loro, i Duran Duran, quando rubavo a mio fratello il piccolo mangianastri Grundig per ascoltare Seven and The Ragged Tiger. In barba ai critici musicali che ne avevano pronosticato una morte rapida e indolore, io, con l’entusiasmo di una bambina di sette anni, sapevo già che la nostra storia d’amore sarebbe durata a lungo, tanto da farne la colonna sonora della mia vita, e come una moglie fedele sono andata dritta per la mia strada, anche quando, dopo il successo planetario di Arena, il gruppo sembrava andare alla deriva, dapprima con la separazione dei membri nei progetti paralleli The Power Station e Arcadia, poi con l’uscita di Roger e Andy. Gli anni ’90 tra alti e bassi, in realtà più bassi che alti, eccezion fatta per The Wedding Album, nulla di scandaloso, erano gli anni del grunge, si preferivano suoni nudi e crudi, poi nuova linfa vitale con l’arrivo del secondo millennio, la reunion e i successi di Astronaut e dei più recenti All You Need is Now e Paper Gods.

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Heroes, da un’idea di Paolo Fresu, un concerto imperdibile omaggia David Bowie

L I V E – R E P O R T


Articolo di Annalisa Fortin

Forse non tutti sanno che il primo passaggio di David Bowie in Italia risale al 1969, anno in cui partecipò ad un concorso canoro a Monsummano Terme, un piccolo comune toscano. Arrivò però secondo. Per rimediare, come sostiene scherzosamente Paolo Fresu, cinquant’anni dopo il comune stesso ha incaricato il famoso trombettista di omaggiare adeguatamente il Duca Bianco. “Appena mi è stato proposto questo progetto”, dichiara Fresu, “mi sono sentito onorato ed emozionato. Ho deciso di mettere insieme una band unica, creata appositamente, con grandi musicisti eclettici e provenienti da esperienze diverse, anche lontane dal jazz. Credo che questo sia un grande valore. Avvicinarsi alla musica di David Bowie è una grande emozione e anche una straordinaria opportunità per tutti noi”.
Durante l’esibizione di Heroes, avvenuta il 9 luglio nell’ambito del Vicenza Jazz Festival, Paolo Fresu confessa che la conoscenza primordiale che lui e gli altri componenti avevano della musica di Bowie era quella delle comuni persone, ovvero di puro ascolto e apprezzamento. Nessuno si era mai cimentato nell’esecuzione di quella che poi si è rivelata una sfida artistica emozionante e coinvolgente, riportando una splendida luce in un momento buio comune dovuto alla pandemia. La band scelta da Fresu ha nomi di calibro stellare: Petra Magoni, Filippo Vignato, Francesco Diodati, Francesco Ponticelli, Christian Meyer. Insieme hanno messo le mani su una trentina di pezzi, tra i quali Life on Mars, This Is Not America, Warszawa, When I Live My Dreams. Ogni membro della band ha dato il proprio contributo negli arrangiamenti, conferendo maggiore varietà e dinamicità al progetto, scaturito anche in un cd. Tornando alle parole di Fresu: “Bowie è un autore immortale che è sempre stato vicino al jazz. Abbiamo trattato con il massimo rispetto la sua arte pur essendo propositivi, gettando infatti uno sguardo nuovo su queste canzoni”.

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Come per i Maratoneti, non c’è tempo per fermarsi: intervista a Francesco Savini

I N T E R V I S T A


Articolo di Stefania D’Egidio

Riflettevo sul potere della musica: un giorno ti arriva un press kit e il nome dell’artista ti ricorda vagamente qualcosa, un attimo dopo ti tornano in mente i sapori di casa, gli odori della piccola via dove hai trascorso la tua infanzia e quel bar all’angolo dove andavi a comprare il Cucciolone, dopo aver giocato, per ore e ore, a nascondino con gli altri bambini del quartiere. La vita a volte fa giri strani e ti ritrovi a 500 km di distanza ad ascoltare i brani di un ragazzo che è partito dal tuo stesso paese, anche se una ventina di anni dopo te, in cerca della sua strada…

Questa volta ho il piacere di intervistare Francesco Savini, cantautore classe 1996, abruzzese doc, ma milanese di adozione.

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Alice Cooper – Detroit Stories (earMusic, 2021)

R E C E N S I O N E


Articolo di Stefania D’Egidio

Tra i personaggi più autoironici e istrionici del folle mondo del rock, i suoi spettacoli sono vere e proprie pieces teatrali, Alice Cooper è arrivato a 73 anni sopravvivendo ai tempi cupi delle droghe e dell’autodistruzione e, in barba alla pandemia, ha dato alla luce il suo ventunesimo album da solista, Detroit Stories, uscito lo scorso 26 febbraio per earMusic. Un omaggio alla sua città d’origine, dove ha vissuto fino all’età di 12 anni, quando la sua famiglia si trasferì a Phoenix; famosa per l’industria automobilistica e per la casa discografica Motown, Detroit è anche il posto dove Alice, al secolo Vincent Fournier, si rifugiò con la sua band dopo gli insuccessi del periodo californiano: il secondo album, Easy Action del 1970, fu considerato, infatti, poco più che mediocre dalla critica. Il ritorno nella città natale invece segnò una svolta perchè firmarono un contratto con la Warner Bros e incontrarono il produttore Bob Ezrin, con il quale si rinchiusero in una fattoria fatiscente a Pontiac per realizzare Love It to Death, quello che, con il singolo I’m Eighteen, divenne disco d’oro nel 1971.

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Foo Fighters – Medicine at Midnight (Roswell Records/RCA Records, 2021)

R E C E N S I O N E


Articolo di Stefania D’Egidio

Il tanto atteso decimo album dei Foo Fighters esce oggi 5 febbraio in cd, vinile e formato digitale: prodotto da Greg Kurstin, prevede nove tracce per una durata complessiva di 37 minuti. Leggenda vuole che Medicine At Midnight sia stato registrato sul finire del 2019 ad Encino, in una casa infestata da spiriti: l’album sarebbe dovuto uscire nel 2020, per celebrare i venticinque anni di carriera della band, tanti erano i progetti partoriti dalla fervida mente di Dave Grohl, da un tour che avrebbe toccato le stesse città del 1995, per il quale avrebbero addirittura riesumato il mitico pulmino rosso degli esordi, a documentari e partecipazioni varie a trasmissioni. Nulla di tutto ciò, invece: la pandemia ha scombussolato i piani di tutti, famosi e non, anche se mi risulta difficile immaginare il frontman di uno dei migliori gruppi live del mondo confinato tra quattro mura, lui che, prima ancora di essere una rockstar, è un eterno adolescente appassionato di musica, così sfegatato da rimettersi ogni fottuta volta in gioco per dimostrare a se stesso di poter andare oltre e di saper alzare ulteriormente l’asticella.

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Max De Aloe Quartet – Just for one day (Barnum for Art, 2020)

R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

Era inevitabile che prima o poi la pandemia influenzasse direttamente la creazione musicale e artistica in senso lato. Max De Aloe è un armonicista che ha attraversato, o meglio, è stato attraversato dal virus, come racconta lui stesso nel comunicato stampa che accompagna l’uscita di Just for one day, edito da Barnum for Art e registrato con il Max De Aloe Quartet composto, oltre che dallo stesso De Aloe, da Roberto Olzer al piano, Marco Mistrangelo al contrabbasso e Nicola Stranieri alla batteria. Una esperienza negativa che, come spesso accade per gli spiriti creativi, si trasforma in una positiva, fatta di coraggio e voglia di cimentarsi con la difficoltà. Alla base del disco, l’idea di omaggiare un mostro sacro della musica come fu David Bowie, un’operazione tuttavia lontanissima dall’idea di “riadattare” la musica di Bowie, ma molto vicina all’idea di “consonanza” con il grande musicista pop e rock. Anche se alla base del lavoro c’è l’omaggio a un personaggio come Bowie, è estremamente difficile costruire un disco che abbia come struttura portante l’armonica cromatica.

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The Psychedelic Furs – Made of Rain (Cooking Vinyl, 2020)

R E C E N S I O N E


Articolo di Stefania D’Egidio

Il 2020 è stato un anno funesto sotto molti aspetti, ma mi ha dato l’occasione di riscoprire vecchi amori mai dimenticati, come quello per la musica anni ’80, grazie al ritorno sulle scene di alcuni gruppi storici dell’epoca. Tra questi gli Psychedelic Furs, rispolverati grazie ai brani inseriti nelle colonne sonore di Chiamami col tuo nome, del regista Luca Guadagnino, e la celebre serie tv Stranger Things.
L’ottavo album in studio della band è uscito alla fine dello scorso luglio, dopo ben 29 anni di assenza, anche se in realtà dal 2000 non hanno mai smesso di suonare dal vivo con una formazione che, oltre ai fratelli Richard e Tim Butler, rispettivamente alla voce e al basso, comprende anche Paul Garisto alla batteria, Rich Good alla chitarra, Amanda Kramer alle tastiere e Mars Williams al sax.

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