Articolo di Sabrina Tolve
«L’umanità è maschile e l’uomo definisce la donna non in quanto tale ma in relazione a se stesso; non è considerata un essere autonomo. […] Lei è soltanto ciò che l’uomo decide che sia; così viene qualificata “il sesso”, intendendo che la donna appare essenzialmente al maschio come un essere sessuato: la donna per lui è sesso, dunque lo è in senso assoluto. La donna si determina e si differenzia in relazione all’uomo, non l’uomo in relazione a lei; è l’inessenziale di fronte all’essenziale.»[1]
Una donna spezzata è una raccolta di tre racconti, composti dalla scrittrice e filosofa francese Simone de Beauvoir (Parigi, 1908-1986) nel 1967 e pubblicati in Italia da Einaudi due anni dopo, con la traduzione di Bruno Fonzi.
Sebbene il titolo del libro sia lo stesso del primo racconto, in esso si raccolgono e accomunano le tre protagoniste dei racconti, racconti che differiscono molto l’uno dall’altro, a prescindere dallo stile dei testi e dalla leggibilità di ognuno, ma che narrano storie di crisi e rotture, solitudine, rabbia e sensibile introspezione.
La raccolta è anche una critica alla donna borghese, alla donna che commette l’errore forse più grande che ci sia: crescere e plasmarsi all’ombra del maschio che l’accompagna, senza davvero creare uno spazio adatto a sé stessa, al proprio intelletto e alle proprie necessità, messe da parte per compiacere l’altro.
In Una donna spezzata seguiamo, tramite un diario, la storia di Monique, una donna che ha speso la sua intera esistenza con l’intento di essere moglie e madre perfetta, e che vede l’intero suo universo frantumarsi quando il marito ammette di avere un’altra.
Non solo la osserviamo distruggere quanto poco rimasto del matrimonio, ma la vediamo lamentarsi e soffrire, incapace di ricostruirsi spazi propri, incapace di comprendere cosa sia meglio per lei, incapace di prendere vita da quella sofferenza e provare a costruire qualcosa.
Il suo è un lamento antico e irritante, forse perché specchio di tante, troppe donne, illuminate dalla luce dell’uomo e convinte che senza quella luce tutto diventi buio e oscuro, senza via d’uscita.
Solo alla fine del diario, seppur spaventata, la vediamo rendersi conto che forse qualcosa può cambiare, che nonostante la solitudine e l’infelicità, il futuro può riservarle qualcosa di diverso.
Il secondo racconto, L’età della discrezione, parla piuttosto di una crisi famigliare: una madre che si sente tradita dalle scelte del figlio e che condanna al marito indolenza e rassegnazione all’età ormai senile.
La cecità di questa donna nel non accettare i cambiamenti e nel voler restare cocciutamente ferma sulle sue convinzioni credendole sicure, la mancanza del dialogo col marito, la solitudine e la rabbia che l’attanagliano, rendono questo racconto il più deliziosamente leggibile dei tre, soprattutto per il confronto tra la protagonista e la suocera, donna ancor più anziana, ma indipendente e forte, soprattutto flessibile ai cambiamenti e capace di adeguarcisi.
Monologo, il terzo racconto, è estremamente diverso dai primi due: un flusso di coscienza di rabbia e odio, una donna lasciata sola a sé stessa, due ex mariti, un figlio di cui non ha la custodia, e il suicidio di una figlia. Con astio, imprecazioni, volgarità, sentiamo in questo testo tutto il peso dell’essere soli e abbandonati, da sé stessi prima che dagli altri, quanto questo atteggiamento sia deleterio e faccia male: Murielle è impotente, impreparata al mondo, e resa imbelle dalle sue stesse azioni.
La rottura, in tutti e tre i racconti, sta nel desiderio di queste tre donne di essere salvate o protette da qualcuno, eppure in ognuno di essi c’è un filo di speranza, una presa di coscienza che consente o potrebbe consentire di diventare finalmente libere dai ruoli di genere, sebbene si debba attraversare un cammino fitto di infelicità.
Altamente consigliato a tutte le donne che non l’abbiano ancora letto.
[1] S. de Beauvoir, Il secondo sesso, Introduzione, Milano, Il Saggiatore, 1961
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