John Hiatt photo by Andrea Furlan

Live report e immagini sonore di Andrea Furlan

A little bit of stormy weather
That’s no cause for us to leave
Just stay here, baby, in my arms
Let it wash away the pain
Feels like rain

Nel mio calendario l’arrivo di John Hiatt a Chiari era evidenziato con quatto bei circoloni rossi, per niente al mondo avrei rinunciato a rivedere sul palco uno degli artisti che più stimo, il cui capolavoro dell’87, Bring The Family, è tra i miei dieci album della vita.

Capirete quindi con quale carica emotiva mi sono recato nel bellissimo parco di Villa Mazzotti, accolto con grande cortesia e cordialità da Maurizio Mazzotti, l’organizzatore dell’evento, che insieme agli amici di A.D.M.R. Chiari (Amici Diffusione Musica Rock, roba seria, mica bruscolini) da vent’anni si prodiga con grande passione nel portare in Italia i più bei nomi della musica d’oltre oceano. Ad aggiungere interesse alla serata la presenza al fianco del rocker di Indianapolis di Sonny Landreth, mago della chitarra slide, reduce da un superlativo concerto proprio qui a Chiari nell’aprile scorso.

Landreth, diciamolo subito, si è rivelato la chiave di volta della serata, molto più che una semplice spalla di Hiatt, anzi l’orchestratore attento di ogni singola nota, colui che ha tessuto le fila del suono della band con fantasia, bravura e capacità tecniche fuori dal normale. A beneficiarne sono state ovviamente le grandi canzoni del nostro, titolare di un invidiabile e corposo songbook, riproposte così in veste del tutto speciale.

Il soul bianco di Hiatt profuma di sud caldo e appiccicoso e vira verso le paludi della Louisiana, tinge di blues le ballate più pigre e indolenti e i rapidi movimenti rock, percorre strade polverose e secondarie in un viaggio a briglie sciolte verso i confini dell’anima. La setlist, come previsto, è incentrata (quasi) esclusivamente su Slow Turning, album di cui ricorrono i trent’anni, appena un pelino sotto nelle mie preferenze rispetto allo splendido Bring The Family. Lo show è aperto proprio dai primi tre brani di quell’album, Drive South, Trudy And Dave, Tennesse Plates, se non fosse che sono impegnato a fotografare, chiuderei gli occhi e inizierei a sognare. La ritmica di David Ranson al basso e Kenneth Blevins alla batteria esegue il suo lavoro al meglio, Landreth da spessore al suono usando la slide come solo lui sa fare, i suoi solo sono di grande presa e affascinanti, mentre le parti di accompagnamento donano un’atmosfera magica ai brani che conosciamo a memoria e non possiamo fare a meno di cantare. Hiatt, allegro e sorridente, si alterna tra acustica ed elettrica per sedersi finalmente al piano e intonare Is Anobody There?, una di quelle ballad che ti si aggrappano al petto e non ti mollano. La band gira a mille, i Goners insieme a Landreth hanno quella marcia in più che li rende unici e speciali, niente da dire, funzionano a meraviglia. La voce di Hiatt conserva il timbro che amo, è un piacere ascoltarlo, questo mi basta anche se la potenza sonora non è ovviamente quella di una volta e si nota qualche segno di affaticamento, ma tant’è, l’anagrafe parla chiaro, a sessantasei anni non è lecito pretendere che sia in forma perfetta come a trenta. D’altro canto come non gioire per la lunga cavalcata di Riding With The King o l’irresistibile Slow Turning, per non dire dei toni caldi di Sometime Other Than Now, o delle accelerazioni di Georgia Rae, o dello struggimento di Icy Blue Heart. Hiatt ci mette il cuore, si sente, e compensa i limiti con il mestiere offrendo una performance calorosa e coinvolgente che ha saputo regalare intense emozioni.

Fin qui tutto bene, poi il diavolo ci ha messo lo zampino ed ha purtroppo rovinato la festa. I nuvoloni neri che incombevano nel cielo di Chiari si sono addensati e un’improvvisa folata di vento non ha fatto presagire niente di buono. A poco è servita la preghiera di John affinché il tempo fosse clemente e ci permettesse di proseguire senza intoppi la serata: un diluvio d’acqua si è abbattuto con violenza inaudita su Villa Mazzotti costringendo il pubblico a rifugiarsi sotto il provvidenziale tendone allestito davanti al palco, nella speranza che il nubifragio passasse in fretta. Niente da fare, vista la mala parata, sono state spente le luci e la crew ha iniziato a mettere in salvo gli strumenti. La serata è finita così, con una folle corsa verso la macchina cercando, inutilmente, di mettersi al riparo. Ci arrivo bagnato fradicio, non prendevo tanta acqua da non so quanto tempo. In ogni caso è andata bene lo stesso, mi sono goduto un’ora abbondante di ottime vibrazioni e, nonostante la sua brusca conclusione, mi resterà il ricordo di una bella serata trascorsa all’insegna della Musica con la emme maiuscola insieme a tanti amici e appassionati! Doveroso quindi il ringraziamento a A.D.M.R. che ha organizzato tutto alla perfezione ed ha portato in Italia uno dei miei idoli. Mi resta solo una domanda: ma se Hiatt fosse riuscito a cantare anche Feels Like Rain come sarebbe andata a finire?