I N T E R V I S T A


Articolo di Enrica Bardetti 

Vera Giaconi, scrittrice argentina di origini uruguaiane, è alta e slanciata. Ha lunghi capelli scuri, occhi profondi che si rischiarano quando le labbra si schiudono in un sorriso, mentre fa il suo ingresso alla libreria Diari di bordo di Parma di Alice Pisu e Antonello Saiz dove presenta «Persone care», la sua ultima raccolta di racconti. Durante l’incontro, una libera conversazione tenuta dalla traduttrice letteraria e docente di russo e spagnolo Silvia Sichel, la scrittrice è tradotta da Giulia Zavagna, che ha curato anche la versione italiana del libro per Sur. Questa casa editrice indipendente nata a Roma nel 2011, inizialmente specializzata solo in letteratura latinoamericana, da fine 2015 propone anche la collana BIG SUR, dedicata alla narrativa e saggistica anglo-americana.

Vera Giaconi nasce a Montevideo nel 1974. La sua storia è comune a quella di tanti Uruguaiani costretti all’esilio dalla dittatura dopo il colpo di stato del ’73. A soli nove mesi insieme alla madre raggiunge il padre in Argentina, ma dopo poco tempo anche qui i militari prendono il potere ed è costretta insieme alla famiglia a vivere sotto un regime dittatoriale simile a quello da cui erano scappati. Vera oggi vive e lavora come editor e redattrice freelance a Buenos Aires, città dove è cresciuta. Con la raccolta di racconti «Seres queridos» (Persone care) è stata finalista nel 2015 al Premio Internacional de Narrativa Breve Ribera del Duero: il più prestigioso riconoscimento per raccolte di racconti in lingua spagnola, che grazie all’alta partecipazione di opere narrative provenienti anche da fuori della Spagna, in particolare dall’America, ha superato per importanza altre competizioni internazionali più conosciute.

Persone care raccoglie dieci racconti incentrati sulle relazioni di amore e amicizia.  Scritti con prosa elegante, asciutta, precisa, mai banale trattano di rapporti familiari, di sentimenti in bilico tra odio e amore, rancore e devozione. Dieci racconti in cui l’inquietudine e la minaccia latente aleggiano in modo quasi impercettibile nella vita dei protagonisti; una raccolta di situazioni e personaggi umani, fragili e imperfetti dove il non detto la fa da padrone, lasciando al lettore libertà di interpretazione e un certo turbamento a fine lettura.  

I legami familiari ci accompagnano lungo il corso della nostra vita. Ci danno conforto nei momenti di crisi ed incertezza, ma nascondono spesso rivalità, invidia e rancore. Nei dieci racconti di questa raccolta affondi la tua penna, portandone in superficie i lati oscuri, Quali sono i motivi che ti hanno spinta ad indagarli e a raccontarli?

I legami familiari erano una zona che avevo bisogno di esplorare. Tirare le tende più conosciute o note che sono solite coprirli o che si è soliti usare per rappresentare quei legami e camminare in quell’altra zona più incerta, più scomoda, più oscura. E mi interessava farlo non a partire da un giudizio o da una feroce messa in discussione, ma a partire da sincerità ed empatia. Non ci sono sentimenti, riflessi nel libro, dei quali possa dichiararmi innocente e tuttavia, l’amore che mi unisce alle mie “persone care” è fuori di dubbio e imprescindibile.

Da diversi anni svolgi la professione di editor. Uno dei consigli che date a chi vuole scrivere è prima di tutto di leggere. In un’intervista hai detto che non temi la contaminazione di ciò che leggi quando scrivi, Quali letture hanno accompagnato e contaminato la stesura di «Persone care»?

Ho scritto i racconti di questo libro all’incirca in due anni, e durante tutto il tempo mi hanno accompagnato i miei libri di sempre e altri nuovi. Tra gli autori imprescindibili, di ora e di sempre, posso menzionare: Clarice Lispector, Kelly Link, Alice Munro, Juan Carlos Onetti, Aime Bender, M. John Harrison, Armonía Somers. Ma ce ne sono molti altri.

In Italia, dove non riscuote molto successo, il racconto viene spesso considerato una forma narrativa minore. Scrivere in forma breve richiede invece: capacità di sintesi, un’attenta misura nei dettagli, parole pesate sapientemente e personaggi caratterizzati in poche battute. Mediamente, quanto tempo impieghi per scrivere un racconto? Ti capita di riscriverlo più volte, cambiando tecnica o punto di vista, prima di ottenere la stesura definitiva?

Alcuni racconti di questo libro li ho scritti in un pomeriggio (più il tempo che poi ho dedicato a correggerli) e altri mi hanno preso mesi interi. A volte scrivere, per me, è unire piccoli scampoli tematici fino a scovarvi un senso più completo e profondo. Mi tranquillizza tuttavia constatare che per i lettori è impossibile distinguere gli uni dagli altri, vedere cioè i singoli momenti di scrittura, ma percepiscono la storia nel suo insieme: solo così si arriva al cuore di una storia. I racconti, in questo senso, e quando tutto va nel migliore dei modi, hanno una potenza ineguagliabile.

In questa raccolta ci sono almeno due racconti autobiografici: Dumas e Al buio. Nel primo parli di tuo nonno e del suo tentativo di tenerti con sé in Uruguay prima che tu e tua madre scappaste in Argentina, dove tuo padre era già espatriato. Al buio, dedicato a tuo fratello Mauro, è la storia dei piccoli Roxy e Facundo che si nascondono in fondo all’armadio, rifugio che la madre ha preparato per loro in caso di emergenza, perché spaventati dalla presenza equivoca del marito della vicina di casa. La scrittura autobiografica nasconde, forse, il bisogno di portare a galla attraverso i ricordi, punti critici del nostro passato nel tentativo di comprenderli?

Senz’altro scrivere questi racconti è stato un tentativo di capire la mia stessa storia, ma sono stati anche una forma di omaggio o rivincita. È stata la mia opportunità di riscrivere alcuni capitoli della vita familiare e dargli una nuova forma. Nessuno dei due racconti è interamente autobiografico, ma entrambi prendono dettagli o aneddoti veri che però sono riformulati. Mio nonno è morto quando ero molto giovane, e Dumas è stato il mio modo di rincontrarmi con lui e di cambiare la mia storia con un finale che non è quello vero, ma quello che io avrei scelto. Al buio invece è un gioco, un modo di tornare all’infanzia mano nella mano con mio fratello e di visitarne certe zone che ancora oggi fanno un po’ paura, ma che in sua compagnia mi risultavano percorribili.

Il rapporto tra fratelli è anche al centro dei racconti: Survivor, Piranha e I resti. In questi racconti però, il legame non è di protezione e conforto come in quello precedente, ma fatto di gelosia, invidia, dispetti e rancore. Quello che ci vuoi dire è che questi legami necessari, scomodi e complicati, riescono a resistere solo se li accettiamo per quello che sono?

Che noi lo accettiamo o no, il legame tra fratelli è sempre complesso. In modo consapevole o senza rendercene conto, fin dal momento in cui vengono al mondo, lottiamo contro di loro per l’amore dei nostri genitori, per la loro pazienza, per il loro tempo e perfino per i loro soldi. Ma sono anche nostri alleati, gli unici che ci accompagnano passo dopo passo nella vita, soffrendo le stesse mancanze o godendosi le nostre stesse opportunità. Non è possibile che una relazione sorta da questo modo di condividere il mondo e la propria esperienza non sia ricca e complessa. E al tempo stesso, ogni relazione così complessa ha i suoi punti di luce e di oscurità, cosa che a mio parere la rende molto più bella e profonda.

«Eppure vederlo sdraiato su quel letto, incapace di seguire i suoi stessi consigli, è stato come rivedere mio marito che se ne andava di casa con un borsone in cui non aveva messo che i suoi vestiti» (pag, 85)
Tra le persone care hai inserito anche legami che non fanno parte della famiglia. In Limbo, ad esempio, parli del rapporto medico-paziente e del senso di abbandono che prova una donna, affetta da una patologia incurabile, difronte al proprio medico malato. Nei momenti in cui ci sentiamo disorientati e vulnerabili, come nel caso di una malattia incurabile, ci affidiamo completamente a chi ci sta curando, tanto da non vederlo più come un essere umano, ma quasi come un eroe dotato di super poteri. Vederlo scendere ad una dimensione umana ci risulta insopportabile al punto di farci compiere azioni imprevedibili?

Credere che una persona abbia dei superpoteri e sia in grado di salvarci può portarci a vivere in un equivoco che può solo finire male. E nel dire questo penso a una relazione come quella di Limbo, medico-paziente, ma penso anche alle relazioni d’amore.

Jorge, il protagonista del racconto Carne, dopo la morte della moglie si trova solo con la figlia adolescente con la quale non riesce a stabilire un contatto. Dopo vari tentativi, aggrappandosi ad un ricordo, troverà uno spiraglio nella banalità di un invito al MacDonald. I legami tra familiari sono, dunque, poco condizionati dalle dichiarazioni d’affetto o dalla condivisione di grandi avvenimenti, ma si fondano piuttosto sulla banalità dei piccoli riti che si consumano nella vita quotidiana, sulle piccole cose?

Di che cosa è fatta la vita se non di questi piccolissimi avvenimenti che diventano un’ora, un giorno, un mese, un anno? A volte solo se prestiamo molta attenzione riusciamo a sentire il momento esatto in cui la nostra stessa esistenza scricchiola, ma altre volte, ciò che provoca il cambiamento è uno tsunami. Tuttavia, il peso degli avvenimenti non è qualcosa di obiettivo. Nessun’altro può dare un valore ai momenti della nostra esperienza, solo noi stessi.

Rosa è la donna delle pulizie protagonista di Beati. Il suo comportamento nei confronti della padrona è condizionato dal giudizio: di suo marito, uomo che lei considera nobile, intelligente e generoso, ma così rigido a causa della fede al punto che non si sente libera di confessargli le proprie emozioni; da quello del padrone tanto innamorato della moglie da non accorgersi dei segni evidenti della sua depressione; infine dal giudizio della padrona che la sminuirà a tal punto da provocarle una reazione inaspettata. Il giudizio delle Persone care ci condiziona al punto da cambiare i nostri desideri e la visione che abbiamo di noi stessi?

Credo che sia sempre un rischio, ma che lo sguardo delle nostre persone care possa essere anche un vantaggio. A volte sono loro ad aiutarci a vedere le cose con più compassione o a scegliere ciò che è meglio per noi. Immagino che l’importante sia trovare un equilibrio tra lo sguardo degli altri e il proprio desiderio.

Nell’ultimo racconto, Rincontro, abbandoni il realismo che ha contraddistinto quelli precedenti e introduci l’elemento magico di cui si avvale l’amica della voce narrante per poter portare a termine la gravidanza tanto desiderata.  Pur di ottenere quello che più desideriamo, siamo disposti veramente a tutto? 

Posso rispondere solo per me stessa e la risposta è «sì, assolutamente sì».

Persone care è uscito in Italia per Edizioni Sur nella bella traduzione di Giulia Zavagna, che ringraziamo per la gentilezza e disponibilità nell’averci fatto da tramite per ottenere l’intervista. Far uscire un testo sul mercato estero significa affidarlo nelle mani di qualcun altro che, per renderlo in un’altra lingua, dovrà interpretarlo e in un certo senso riscriverlo. Che cosa si prova?

Ci si sente enormemente grati. In particolare quando si ha la fortuna di contare su una traduttrice come Giulia Zavagna, che è minuziosa, premurosa, molto professionale, ha un orecchio straordinario e grande intuizione. «Seres queridos» è il mio libro, ma «Persone care» è nostro, mio e di Giulia.

Photo credit:
Emiliano Zampella