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Alcatraz Milano

Un’estate rovente – concerti a Milano

N E W S


Articolo di Stefania D’Egidio

L’estate milanese si preannuncia rovente e non solo per le temperature torride che di solito imperversano sulla pianura padana, ma perché finalmente sono ricominciati i grandi concerti dopo due anni di calma piatta. Gli appuntamenti sono così tanti , in ogni parte della città e nel hinterland, da far accapponare la pelle e ce n’è davvero per tutti i gusti, ve ne elenchiamo giusto alcuni per stuzzicare l’appetito: il 16 giugno, in data unica al Magnolia arriva la cantautrice e rapper zambiana Sampa The Great, un mix di hip hop, afro e jazz che farà impazzire chi ha amato i Fugees di Lauryn Hill, se invece vi piacciono le chitarre belle pesanti ecco che l’Alcatraz di Milano propone il 19 giugno i Black Label Society del mitico Zakk Wylde, tra i dieci migliori chitarristi al mondo.

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Editors – Black Gold Tour @ Alcatraz Milano, 11 Febbraio 2020

L I V E – R E P O R T


Articolo di Stefania D’Egidio

Qualche giorno fa, in occasione del Festival di Sanremo, chiedevano a Piero Pelù se davvero il rock fosse morto, come si è soliti dire, e lui rispondeva che non solo non è morto, ma addirittura si è arricchito di nuove sonorità, grazie all’aiuto dell’elettronica. Quella che è appena finita è stata, a Milano, la settimana del Black Gold Tour degli Editors, con ben due date all’Alcatraz, e quale esempio migliore si potrebbe dare di commistione tra rock ed elettronica? Ho avuto la fortuna di assistere al primo dei due concerti, lo scorso 11 febbraio: causa concomitanza con un altro evento (lo show degli Slipknot al Forum di Assago), mi aspettavo una scarsa affluenza di pubblico e, invece, già all’apertura, affidata al trio tutto al femminile delle Junodef, si faceva fatica a scorgere l’ultima fila.

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King Gizzard & The Lizard Wizard @ Alcatraz, Milano – 15 ottobre 2019

L I V E – R E P O R T


Articolo di Luca Franceschini, immagini sonore di Ambrogio Brambilla

I King Gizzard & the Lizard Wizard sono una band fuori dal comune, direi che è un’affermazione banale ma assolutamente inevitabile. 
Al di là del nome che si sono scelti, che basterebbe da solo a farci parlare per mezz’ora, gli australiani si sono distinti anche dal punto di vista dell’amministrazione della propria carriera e dei propri contenuti musicali: non ci sono molti gruppi, in effetti, che hanno pubblicato 14 dischi in sette anni, cinque dei quali, tra l’altro, nel solo 2017. E non esiste altro gruppo in grado come loro di giocare coi generi e le etichette, stravolgendoli, indossando maschere ed incarnando di volta in volta la veste che è loro più congeniale. Che sia il Jazz di “Sketches of Brunswick East”, la psichedelia rarefatta e vagamente progressiva di “Gumboot Soup”, l’Heavy Metal di “Murder of the Universe” o ancora le bordate stoner di “Nonagon Infinity” o “Polygondwanaland”, ogni uscita di questi simpatici pazzoidi rappresenta un punto di vista unico, un lato differente della loro personalità. 

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Beirut, il 18 aprile all’Alcatraz di Milano

C O M U N I C A T O – S T A M P A


A distanza di tre anni dall’ultimo No No No, Zach Condon è pronto a tornare con il progetto Beirut in Italia per presentare il nuovo lavoro Gallipoli, scritto e registrato tra New York, Berlino e Lecce, ed in uscita per 4AD il 1 febbraio 2019.

“Gallipoli iniziò, nella mia testa, quando finalmente feci spedire il mio vecchio organo Farfisa dalla casa dei miei genitori a Santa Fe, NM a New York” esordisce Condon ” Mi impossessai dell’organo durante il mio primo lavoro al Center For Contemporary Arts di Santa Fe; trascorsi i successivi tre anni scrivendo il maggior numero di canzoni che potevo tirarne fuori”

Condon va avanti raccontando il processo di scrittura “In questo periodo la mia vita privata cambiò improvvisamente e mi ritrovai a viaggiare avanti e indietro tra New York e Berlino per lunghi periodi di tempo”

Descrive le session di registrazione come “una tempesta di giorni passati chiusi in studio dalle 12 alle 16 ore, facendo gite sulla costa e seguendo una dieta solida a base di pizza, pasta e peperoncini” e poi racconta le fonti d’ispirazione del nuovo lavoro ed in particolare del brano Gallipoli

“Una sera ci trovammo per caso nella cittadina medievale di Gallipoli e seguimmo una band di ottoni in processione dietro a preti che portavano la statua del santo patrono tra le strette vie del paese, seguiti da quella che sembrava l’intera città. Il giorno seguente scrissi in una sola sessione, facendo pausa solo per mangiare, il brano che sarebbe diventato “Gallipoli”.

Willie Peyote @ Alcatraz – Milano, 17 gennaio 2019

Articolo di Luca Franceschini e immagini sonore di Alessandro Pedale

È stato indubbiamente un trionfo. “La sindrome di Tôret” è stato portato in giro per 103 date, in tutta Italia e pure in qualche puntata all’estero, in posti importanti come lo Sziget. È stato un disco importante, per Willie Peyote: gli ha fatto fare il grande salto dal bravo rapper che sa scrivere qualche singolo di successo, all’artista vero che realizza lavori coesi, curati in ogni minimo dettaglio e che è in grado di dare voce alla propria contemporaneità.
È stata anche l’occasione per vederlo tanto dal vivo e per realizzare che, nell’universo italiano che gravita intorno a Rap, Trap, It Pop e affini, lui è uno che, proprio sul palco, ha una marcia in più.

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Frah Quintale @ Alcatraz – Milano, 4 dicembre 2018

Articolo di Luca Franceschini e immagini sonore di Alessandro Pedale

Frah Quintale di strada ne ha fatta parecchia. L’artista bresciano è stato protagonista di una delle ascese più rapide degli ultimi anni, arrivando con un EP ed un disco, Regardez Moi, del 2017, a far incetta di consensi e a portare avanti un tour di sold out in sold out, riempiendo posti progressivamente sempre più grandi. Ora è probabilmente giunto il momento di scrivere la parola fine su questa prima fase della sua carriera e ricaricare le batterie in attesa del prossimo passo.

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Greta Van Fleet – Anthem of the Peaceful Army (Republic Records, 2018)

Articolo di Stefania D’Egidio

Nell’ultimo mese i Greta Van Fleet sembrano essere diventati il pomo della discordia tra i puristi, che li accusano di essere troppo simili ai Led Zeppelin, e coloro che, invece, si sentono orfani del rock.
Confesso che la prima volta che li ho sentiti per caso alla radio sono quasi caduta dal divano, pensando ad una miracolosa reunion dei Led Zeppelin, e già pregustavo l’ennesimo tour d’addio, invece, dopo qualche minuto di disorientamento, ho scoperto che, non solo non erano Robert Plant e soci, ma addirittura un gruppo di sbarbatelli americani con alle spalle meno della metà degli anni dei nostri idoli: Jake Kiszka alla chitarra, Sam Kiszka, basso e tastiere, Josh Kiszka alla voce e Danny Wagner alla batteria.

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