Articolo di ElleBi

“Rimetti a noi i nostri debiti”, primo film italiano originale Netflix, disponibile a partire dal 4 maggio 2018, messo in onda in 190 paesi, tradotto in 22 lingue.
Un titolo ed una presentazione che inevitabilmente hanno colpito la mia attenzione per cui, con curiosità
, mi sono immersa nella proiezione…

Ho appreso, così, che la regia è affidata ad Antonio Morabito, (ammetto nome poco conosciuto), mentre protagonisti sono Claudio Santamaria e Marco Giallini, due attori che apprezzo da sempre.
E’ risultato evidente fin dalla conversazione iniziale fra Guido (Claudio Santamaria) e un vecchio professore suo vicino di casa ed unico amico (Jerzy Sthur) che la pellicola ha nella sceneggiatura, e in un profondo respiro etico-sociale il suo punto di forza: con parole precise, dirette, affilate come la lama di un rasoio, è stato spiegato come vi siano settori (vedi quello del tabacco, farmaceutico, delle armi, non ultimo il bancario), che non possono essere colpiti direttamente da “manovre” concepite per far fronte ad una crisi economica.
Il concetto si è ampliato rimandando all’oggetto geometrico denominato frattale; nella sua forma si ripete allo stesso modo su scale diverse, e quindi da una qualunque delle sue parti si ottiene una figura simile all’originale. Questo per evidenziare quanto il sistema economico e politico italiano equivalga allo stesso poiché continua a riproporre modelli già collaudati, concludendo infine col pensiero che i poteri forti possono essere “toccati” solo mischiandosi ad essi.

Un’approfondita riflessione teorica finanziaria-politico-filosofica, che ha fatto da interessante introduzione al racconto delle vicissitudini reali di Guido.
Ex tecnico informatico, mandato a casa come tutti quando la ditta è fallita, ha iniziato a fare lavori precari, ma ogni volta è andata sempre peggio.
Oggi è un ex magazziniere in quanto è stato cacciato anche dall’ultima occupazione.
Non è sposato, non ha figli, vive solo in un “cesso di casa” di cui non è più nemmeno in grado di pagare l’affitto.
Al limite della disperazione rivolge alla finanziaria di recupero crediti una proposta inaspettata e disarmante per i suoi contenuti:
“non riuscirò mai a trovare i soldi, ho anche altri debiti, ho appena perso il lavoro, posso solo darvi il mio tempo, voglio lavorare per voi, lavorare gratis finché il debito non verrà estinto, ho visto come fate lo posso fare pure io”.
Avrà come insegnante Franco, che fino ad otto anni prima era nella sua stessa condizione, ma oggi, “esattore” al top della carriera, ha una bella casa, una bellissima famiglia, ed è una persona rispettabile; certo, convive con inevitabili, collaterali sensi di colpa, dei quali però si libera con una periodica confessione e successiva recita del “Padre Nostro”, che contiene una frase per lui totalmente assolutoria:
“rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
Un cinismo esasperato lo guida e lo sostiene, unito a quel godimento perverso e irresistibile che gli provoca esercitare il suo potere sulle persone e, in particolare, su coloro che lui chiama semplicemente debitori, per l’esattezza, più atrocemente, “morti in vita”.
Con inesauribile piacere li mette alle strette secondo una tecnica ampiamente collaudata che combina una serie di azioni psicologicamente devastanti:
la prima consiste nel rintracciarli scavalcando qualsiasi filtro, (assistenti, segretarie) per poi cominciare a dare loro un vero tormento, esasperante, senza tregua!
“Siamo pieni di denunce per stalking dalle persone che si trovano nella fase due” (quella che li porta a vergognarsi di sé oltre ogni limite), racconta Franco quasi compiaciuto.

E’ da queste basi che si compone un duo d’azione dagli accenti anche tragicamente grotteschi, nel momento in cui entrambi i protagonisti si presentano ai malcapitati indossando improbali toghe da avvocati su cui spicca in primo piano la scritta “recupero crediti”.
Nel frattempo, per Guido, il passaggio da vittima a carnefice comporta un complesso contraccolpo emotivo.
Si trova ad inseguire, umiliare, perseguitare verbalmente, utilizzando anche le percosse fisiche, debitori negli occhi dei quali, anche se oggi affrontati da un rapporto di forza, trova rispecchiata la sua perdente, originaria, condizione di vita.
Diventa così progressivamente più difficile per lui comprendere quale sia la linea sottile che divide il bene dal male, fino al punto in cui sarà chiamato ad una scelta profondamente lacerante nel momento in cui si renderà conto che in realtà c’era ancora qualcosa che non aveva messo in conto di poter perdere: la sua dignità.
Partire da un’indagine psicologica intima, privata per provare ad indagare da dentro quello che è un macro meccanismo economico-sociale attraverso un linguaggio lucido, potente, coinvolgente, che non lasci spazio a momenti di retorica o semplicistico pietismo.
Mi sembra questa la scommessa ampiamente vinta dalla pellicola, anche grazie alla particolare sinergia che si è evidentemente creata fra i due protagonisti, ugualmente talentuosi, ma molto diversi invece come attori.
Lo stesso Morabito ha dichiarato: “sul set era come ci fosse un terzo personaggio, un’entità Giallini-Santamaria che cambiava di continuo, dettando il ritmo e la cadenza del film”.
Una visione che quindi mi sento veramente di consigliare a chi, come me, nel cinema è anche alla ricerca di storie che, partendo da un vissuto personale, ci permettano di riflettere, di acquisire nuove consapevolezze. Il tutto per arrivare a conoscere più da vicino le dinamiche nascoste che muovono aspetti fastidiosi, scomodi, per questo troppo spesso volutamente trascurati, se non inesplorati, della nostra società.