Articolo di Ylenia Pepe

La musica di Moby è stata sicuramente una di quelle che più ci ha fatto sognare e viaggiare negli anni ’90 e agli inizi del nuovo millennio; basti pensare ai suoni sensuali e delicati di “Natural Blues”; la malinconia è sempre alle porte quando si riascoltano pezzi simili ma Everything Was Beautiful, and Nothing Hurt ci riporta indietro in quegli anni e nella bellezza di quei ritmi che allettavano il nostro spirito e non lo ferivano così tanto come invece accade adesso nell’era di Trump: questo è il messaggio che l’artista ci lancia già dal titolo che è stato tratto da una frase di una novella di Kurt Vonnegut.

Ascoltando la prima traccia “Mere Anarchy” si comprende subito che Moby è riuscito nell’intento di aver voluto comporre un album lontano da qualsiasi dimensione spazio-temporale: d’altra parte il suo stile è stato sempre unico; quando parte un suo pezzo lo si riconosce subito dalla sua originalità. Le dodici tracce che compongono questo album confermano l’eleganza e l’espressione singolare di questo musicista che compone un’elettronica del tutto diversa dalle altre ed in cui si confondono diversi suoni tra cui quelli di un sintetizzatore che sembra quasi riprodurre i suoni di un pianoforte: ascoltando la seconda traccia “The Waste Of Suns”, potrete aver modo di sperimentare la dolcezza che si crea attraverso il contrasto di queste melodie. Proseguendo per “Like A Motherless Child”, avrete modo di ascoltare un brano che sembra esattamente uscito dalle sonorità di fine anni ’90, in cui Mezzanine dei Massive Attack dominava tutta la scena Trip hop di quegli anni: anche il quarto brano “The Last Of Goodbyes” riprende gli stessi ritmi. “The Ceremony Of Innocence” richiama, invece, le note nostalgiche di Mark Linkous ma anche quelle di Beautiful Freak degli Eels. Il sesto pezzo “The tired and the hurt” è quello più nostalgico di tutti: “Therewasloss/And therewasfear/A time to save was all we had in here/The were seasons of cold and dark/Countless losses that we never saw”; nelle parole di questo testo riecheggia tutta la malinconia per un’epoca splendente ormai perduta o che forse non c’è stata mai dato che il dolore e la distruzione hanno sempre caratterizzato la vita degli uomini; in questo stesso brano si comprende anche la particolare sensibilità che Moby ha per le tematiche riguardanti l’inquinamento ambientale; ma soprattutto si intravede chiaramente la forte sensibilità che lui ha nei confronti degli animali, infatti l’artista si è sempre battuto per i loro diritti.

Non a caso sulla copertina sono state rappresentate due teste di mucca posizionate sul corpo di un padre e di un bambino che si trovano a leggere un libro insieme su una poltrona di un treno: una scena inoffensiva che sembra stia a rappresentare l’innocenza di queste bestiole. La settima traccia “Welcome to hard times”, già dal titolo ci descrive la rassegnazione dell’artista per la nostra epoca che è triste soprattutto per la mancanza di amore: inoltre, le sonorità di questo branoci riportano sulle note di Robert Miles. I pezzi più sperimentali dell’album sono di sicuro: “The SorrowTree” e “Falling Rain and Light”, in cui è presente anche la voce angelica di Julie Mintz. Il decimo pezzo “The Middle Is Gone” è quello più bello di tutti: “I’ll try but I’ll never be free”; è proprio in questa frase che viene racchiuso tutto lo stato d’animo dell’autore. Il brano più spirituale di tutti è, invece, il penultimo “This Wild Darkness”, in cui troviamo un coro che invoca una richiesta di aiuto affinché si ritrovasse di nuovo la luce perduta. Infine, l’album si chiude con la carica dei suoni di “A Dark Cloud Is Coming”, il pezzo che ci riporta alle melodie del Moby di Play.

Tracklist:
01. Mere Anarchy
02. The Waste Of Suns
03. Like A Motherless Child
04. The Last Of Goodbyes
05. The Ceremony Of Innocence
06. The Tired And The Hurt
07. Welcome To Hard Times
08. The Sorrow Tree
09. Falling Rain And Light
10. The Middle Is Gone
11. This Wild Darkness
12. A Dark Cloud Is Coming