Articolo e immagini sonore di Stefania D’Egidio
Che fosse un Ragazzo Fortunato lo avevamo capito dal lontano 1988, ma quando hai alle spalle trenta anni di carriera e sei il primo artista italiano ad essere prodotto da un certo Rick Rubin, eh sì, proprio lo stesso Rubin di Beasty Boys, Run DMC, Slayer, Johnny Cash, U2 e RHCP, tanto per fare qualche nome, quando sei stato capace di evolvere e di reinventarti anno dopo anno, quando muovi folle oceaniche per i tuoi concerti e metti a soqquadro una città come Milano per l’apertura di un Temporary Store, forse si va ben oltre la semplice fortuna…
Alzi la mano chi, tra i critici musicali, avrebbe scommesso su di lui ai tempi di Gimme Five, dicevano “durerà come un gatto in tangenziale, non sa suonare e non sa cantare, fa canzonette per ragazzini” e, invece, eccolo qua, ancora sulla cresta dell’onda; sarà pur vero che non ha la voce di un Baglioni e che non sa suonare come un Dalla, ma sa scrivere e sa parlare al cuore della gente, dei giovani in particolare, e, soprattutto, sa creare mode: e chi se lo scorda il periodo in cui, da adolescenti, portavamo tutti i pantaloncini elasticizzati da ciclista e il cappellino con la visiera all’indietro con la scritta BOY!
E’ con questi pensieri nella testa che parto nel pomeriggio di un caldo 30 giugno alla volta di Lugano, dopo aver tentato inutilmente di fotografarlo a Febbraio in quel di Milano: dodici tappe consecutive del tour al Forum di Assago e zero accrediti, troppa l’attenzione mediatica, troppe le richieste di stampa ufficiale e fanzines, non c’era spazio per tutti… e invece stavolta ce l’ho fatta, la Svizzera mi attende!
Alle 17.00 sono già davanti al Resega di Lugano, parcheggi pieni e gente in fila davanti agli ingressi e alle casse; due ore sotto un sole assassino e finalmente, verso le 19.00, apertura dei cancelli con noi che entriamo ordinatamente come tante formichine operaie.
Si capisce da subito che l’evento è di quelli che passeranno alla storia: pubblico di ogni età, dal bimbo di tre anni, con tanto di fascia in testa con la scritta JOVA, al pensionato arzillo, dai giovani fidanzatini alle coppie collaudate, donne incinte e adolescenti in delirio… insomma, ci sono praticamente tutti per Lorenzo!
Un’atmosfera così calda non si era mai vista in un Palaghiaccio; lo show inizia verso le 21.10, la gente è in visibilio; si parte con la proiezione sullo schermo gigante di un cortometraggio a cartone animato in cui Jova, novello Don Chisciotte, attraversa una barriera spaziotemporale per approdare sul palco, circondato dal caldo abbraccio dei suoi fans. Apre con Ti porto via con me e prosegue con Penso Positivo e In Italia: si scherza sull’assenza dell’Italia ai mondiali di calcio e sul fatto che la Svizzera abbia una nazionale migliore della nostra, poi, in gran forma come sempre, comincia a correre da un parte all’altra dell’enorme palco e, invano, cerchiamo di stargli dietro con i nostri obbiettivi… per lui tempi di esposizione da Formula 1!
Alterna i brani più recenti di Oh,vita! ai successi di sempre, un brivido mi scorre lungo la schiena quando intona Serenata Rap e dei grossi lampadari a gocce di cristallo scendono dall’alto, quasi a ricreare l’atmosfera di una cena a lume di candela tra innamorati.
Quando poi pensi che il concerto abbia preso una piega romantica, ecco che tira fuori dal cilindro un coniglio: si incappuccia come un boxeur e un’enorme pedana lo solleva a circa quattro metri di altezza da noi e tutti con la testa in su a cantare Fame e di lì il Resega si trasforma, giusto per una notte, in una immensa discoteca con lui alla consolle da dj per i brani Attaccami la spina/Non m’annoio/Muoviti muoviti/Una tribù che balla/Tanto.
C’è spazio per tutto nella Notte dei Desideri, anche per Smells like Teen Spirit dei Nirvana e Libiamo ne’lieti calici dalla Traviata di Verdi e la voce mi sembra proprio quella di Big Luciano; i freni inibitori sono andati ormai da tempo e la sua tribù balla, eccome se balla: gente scalza qua e là, palloncini che svolazzano dappertutto e tutto il palazzetto a cantare L’ombelico del Mondo, con i suoi ritmi caraibici che, per un attimo, trasformano l’ordinata Svizzera in Rio de Jainero durante il Carnevale.
Poi di nuovo sciami di lucciole sugli spalti e lampadari abbassati per A te, uno dei pezzi più cantati della serata, tra i più amati in assoluto dai fans.
Lorenzo è un intrattenitore nato, tra un brano e l’altro fa gli auguri a chi festeggia il compleanno, dispensa consigli su come affrontare gli esami di maturità, legge gli striscioni che gli vengono lanciati di volta in volta, insomma sembra essere nato sul e per il palco; si muove così tanto che, nonostante il cambio di abiti, è sempre bagnato di sudore e, ad un certo punto, cominciano a scendergli i pantaloni: beh, è capace pure di improvvisare un motivetto sul fatto che gli servano delle bretelle.
Lo spettacolo si avvia verso i fuochi di artificio finali con Tensione evolutiva, Sabato, Il più grande spettacolo dopo il big bang, Ciao Mamma e Ragazzo Fortunato.
Chiude la serata Viva la Libertà,in medley con Exodus di Bob Marley, con una frase tratta dal Don Chisciotte che scorre sullo schermo gigante, in mezzo la presentazione della band, composta dall’amico di mille battaglie, Saturnino Celani, al basso, Gareth Brown alla batteria, Leo Di Angilla alle percussioni, Christian Rigano al sequencer e alle tastiere, Frank Santarnecchi, batteria, piano e fisarmonica, Jordan McLean da Brooklyn, alla tromba, Riccardo Onori alla chitarra, Matt Bauder al sax e Gianluca Petrella al trombone.
Un tour trionfale il Lorenzo Live 2018, un tour da record, per le dodici date consecutive a Milano, credo che nessuno prima di lui avesse osato tanto, sessantaquattro date in totale, di cui ben sei in giro per l’Europa, a dimostrazione dell’internazionalità del fenomeno Jovanotti; date sold out, in pochi sono amati quanto lui, laddove non arriva con la voce, compensa con la bellezza dei testi, con il cuore, con la sua immensa simpatia e con la positività dei messaggi che trasmette: nel complesso forse lo show più incredibile a cui abbia mai assistito, nonostante io venga da generi musicali ben più “estremi” e questo la dice lunga…
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