Intervista di Iolanda Raffaele, immagini sonore di Salvo Bilotti

In occasione della recente partecipazione degli Zen Circus al Color Fest di Platania (Cz), abbiamo scambiato qualche chiacchiera con Massimiliano Schiavelli in arte Ufo, bassista della band toscana.

Vent’anni di onorata carriera e migliaia di concerti per una band che si conferma grandiosa, chi sono gli Zen Circus oggi e quanto la loro originalità li ha premiati nel tempo?
Noi usiamo sempre un gioco di parole per parlare di questo.
Nel 2000 – 2001 quando sono entrato in formazione, il gruppo si muoveva su Pisa e zone limitrofe, poi aveva cominciato a fare cose fuori regione ed era considerato, o meglio, si chiamava gli scappati di casa e si erano montati la testa.
Nel 2018 gli Zen Circus sono degli scappati di casa e si sono montati la testa. È una soddisfazione aver lavorato tutti questi anni e vedere crescere il pubblico in modo progressivo e sano, in maniera molto lineare e tranquilla.
Penso che più che di originalità, si può parlare di perseveranza della band, ha avuto colpi di testa, ma non ha seguito le mode, non è mai stata di moda e forse è stata proprio la fortuna di questo progetto.
Non c’è stato l’anno in cui gli Zen Circus dal nulla sono stati qualcosa di cui parlavano tutti e questo è stato forse un privilegio.
Questo ci ha permesso di lavorare in indipendenza, in serenità, senza scadenzari, senza pressioni esterne. Noi decidiamo tutto quello che facciamo come vogliamo, il disco esce quando vogliamo noi, come vogliamo noi, con la copertina che vogliamo noi, non abbiamo nessun tipo di legame, se non un patto con il pubblico, un patto di resa e di rispondenza oggettiva con il pubblico.

Dieci album e un Ep all’attivo, mai banali, mai scontati. Parliamo un po’ del recente “Il fuoco in una stanza”.
E’ uscito a marzo a breve distanza dall’altro, quindi, non era nemmeno scontato il risultato. Sono successe tante di quelle cose a livello musicale in questo ultimo anno che avevamo messo in conto che passasse un po’ sotto traccia, proprio per tutte le novità che ci sono state e le cose importanti che sono successe nella musica italiana di questi ultimi tempi, invece è stato premiato dal pubblico e dalla critica, è stato un bel momento.
Praticamente eravamo arrivati a concludere l’album precedente e sul finire sono uscite altre canzoni che però non avevano legami tematici, non erano molto legate con lo stesso.
Abbiamo avuto l’idea, quindi, visto che stava per uscire il penultimo disco, di mettere in cantiere l’altro. Il materiale era diverso più personale e più intimo, ma non intimista. Allora abbiamo pensato di creare un focus intorno a questo lavoro e alla fine è uscita la traccia “Il fuoco in una stanza”. Ci siamo detti questo sarà il tema della canzone, dell’album.
Si tratta di un doppio senso in un certo senso, è un fuoco che può essere un focolare domestico, un luogo di raccoglimento, ma può anche essere un fuoco che divampa, che può spaventare che può diventare emergenza.

Super carichi e grintosi come il fuoco, la stanza è quindi un limite o un orizzonte oltre cui guardare?
Esatto, può avere entrambi i significati, è come se fosse un po’ un contraltare della “Terza guerra mondiale” che era l’album per fare tabula rasa di tutto e in cui, dopo un climax ascendente delle canzoni contro la natura, c’era infatti la terza guerra mondiale.
È un po’ come se finita la guerra si ricominciasse da casa propria, dalle cose piccole, dai rapporti che abbiamo con gli altri e che ti definiscono; gli amici, i parenti le cose più intime che servono per definire te chi ti sei, la tua identità. Molto dell’essenza del disco è, dunque, come l’identità si crea anche nel rispecchiarsi negli altri, la copertina dice tutto.

Non sono dunque creature autonome, ma c’è un filo che lega le canzoni tra loro…
Sì, l’elemento unificante è il bisogno di identità, la ricerca di empatia con gli altri, la ricerca della dimensione di collettività che si può cominciare a fare lavorando anche sul personale, sul privato. C’è questo doppio binario del privato e del collettivo, questa cosa era già iniziata con Viva e con le canzoni di qualche album fa, c’è la frustrazione anche di non riuscire a trovarsi in un racconto collettivo. Si è ricominciato dalla stanza e in fondo anche lì si riesce a rintracciare questo.

Concentrandoci su alcune canzoni ti chiedo nella vita e nella musica, Rosso o Nero?
Entrambi. Lì c’è anche un gioco di parole, rosso e nero è anche il colore di una bandiera di cui tutti più o meno risentiamo il fascino, ossia del movimento anarchico libertario, pur non avendo delle posizioni politiche molto diverse tra noi e non avendo uno schieramento esplicito, non ci piace molto esplicitare. Rosso e nero è un po’ la roulette, ma è anche questa bandiera libertaria. È un po’ l’autodeterminazione della persona singola che decide da sé la sua condotta etica e morale, rispettando gli altri.

In un sistema musicale che sembra travolto da show e talent, che cosa è “quello che funziona” e quanto la musica può dare ancora?
Può dare molto, perché in realtà i talent e gli show stanno un po’ subendo il contraccolpo di questi fenomeni che sono esplosi per conto loro in totale autonomia.
Non mancano gli esempi in quest’ultimo anno di musica, di ragazzi che si sono fatti il disco quasi in casa con degli amici e sono riusciti a portarlo in giro insieme a collettivi spontanei. Loro stanno ottenendo risultati superiori agli artisti paracadutati dai talent e dai contest a tal punto che spesso le produzioni degli stessi cercano l’appoggio esterno di realtà indipendenti; come è successo per l’esperimento con Agnelli, con Levante.
Sono tutti tentativi di coartare perché si sono accorti che funziona veramente parecchio.
Vedo ragazzi come Calcutta, Gazzelle, Coez, Gemitaiz che hanno fatto tutto da loro in casa con amici e stanno facendo dei numeri enormi, invece i talent con tutto quello che spendono per trasmissione e tutto il resto spesso hanno una resa bassa.
Talvolta l’artista uscito dai talent dura un anno, due…
È, insomma, una fase di rimescolamento delle cose tra il cosiddetto indipendente e il cosiddetto mainstream, potrebbe essere positivo questo rovesciamento e il mescolarsi dei ruoli. La musica, quindi, può dare molto, senza dubbio.
Per certi aspetti potrebbe essere un po’ come negli anni sessanta, escono molti più singoli che album e la gente sceglie a capriccio ciò che vuole ascoltare molto rapidamente, escono tantissime cose contemporaneamente.


Non dimentichiamo che tutti gruppi degli anni 60’che ora vediamo come mostri sacri nascevano con l’intento anche pop.
Se si pensa che tante di quelle che ora consideriamo come pietre miliari della musica sono uscite con delle major anche famose, ma erano autentici e sono stati premiati.
È il prodotto che deve essere autentico, poi come viene consegnato, prodotto da un singolo, da un’etichetta, come lo vedi in televisione, come lo senti su spotify è indifferente. È il prodotto di per sé che se è buono o non lo è sarà deciso dal pubblico dopo, è ininfluente il resto.
Tanti gruppi eccezionali come Jimmy Hendrix, i Doors, Led Zeppelin erano artisti che usciva con le major, nessuno si poneva all’epoca il problema se fosse indie o mainstream.

Tra le “catene” e il “panico” qual è il mondo che voi volete o auspicate con le vostre canzoni?
Eheheh, le catene sono importanti perché possono significare qualcosa che ti trattiene come la catena si mette al cane, però la catena si mette anche alle navi per impedire che vengano portate via dalle tempeste, quindi, è un significato doppio, ambivalente.
Le catene sono importanti, si possono rompere, ma possono tenere attaccati a qualcosa di importante.
Il panico ci sta sempre, perché la vita di totale serenità non sarà mai data a nessuno, dobbiamo scordarlo. La vita è fatta anche di tanti momenti allucinanti.
Per quanto riguarda il mondo come vorremmo, la canzone “Il mondo come lo vorrei” è un po’ un divertissement, è paradossale nel suo testo, non lo sappiamo ancora come lo vorremmo, il trucco è anche uscire per strada, stare con gli altri, cercare di vedere se compare questo mondo. Non bisogna lasciare nulla di intentato.

Il 4 agosto gli Zen Circus sono stati al Color Fest, ancora una volta in Calabria, e noi siamo stati super contenti. Ecco cosa aveva risposto Ufo su come gli Zen Circus si trovano qui al sud.
Non vediamo l’ora di venire perché non capitano tantissime occasioni, infatti, questo tour estivo cerca anche di colmare la lacuna presente nella prima parte dei club e la tendenza a coprire il centro – nord. Questa sessione del tour cerca di andare incontro alle richieste dei fan del meridione, ci sarà la Calabria, ma anche la Puglia, la Sicilia.

…e come ci consigliava di prepararci al loro concerto.
Preparatevi a sudare parecchio perché sono due ore di concerto circa, con un excursus un po’ su tutti gli album che abbiamo fatto e c’è un po’ di tutto, quindi, cercheremo di fare una bella festa tutti insieme, perché per noi l’apporto del pubblico è fondamentale.

Ovviamente quel concerto Off Topic l’ha visto ed era tutto vero, tanta buona musica, tanta adrenalina e speriamo di ritrovarli presto.