Articolo di Stefania D’Egidio

Il progetto The Backlash nasce a ottobre del 2011 a Cormano, dall’incontro tra Francesco Lucà (chitarra) e Luca Mangano (batteria) a cui si aggiungono, in un secondo momento, Mattia Cochetti (basso) e Alessio Gatto (voce).
Nel 2014 esce il loro primo EP, 3rd Generation prodotto da Ettore “Ette” Gilardoni, forse ad indicare una terza generazione di musicisti, dopo quella dei ’60 e dei ’90, iniziano una serie di concerti in giro per l’Italia e all’estero, arrivando fino al mitico Cavern Club di Liverpool.

Che i ragazzi meritassero lo avevo già intuito quando li avevo visti al Circolo Ohibò di Milano in apertura ai We Are Scientists, chitarre in primo piano e timbrica decisa proprio come piace a me, tanto che mi ero ripromessa di procurarmi il loro album non appena fosse stato possibile, ed eccomelo qui tra le mani Mindtrap, venuto alla luce dopo quattro anni dalla precedente fatica, per l’etichetta Right Bright Side Records.
Aprendo il cd e spulciandolo, vedo che sulla copertina frontale è raffigurato l’interno di un teatro o di un circo, a voi la scelta, e sul retro la tenda dello stesso; all’interno i testi delle canzoni stampati su foto tratte dai live e, nelle pagine centrali, un bianco e nero dei quattro, come nella migliore iconografia rock.
Non mi resta quindi che ascoltarlo: l’inizio è da fuochi d’artificio, con Third Generation Anthem, chitarre corpose e suono bello distorto alla Oasis, la seconda traccia, Slow Flow non è da meno, molto ritmata, con una strofa ripetuta a loop, voci che si sovrappongono e batteria incalzante.
Si capisce subito che il filo conduttore dell’album è una sorta di tensione emotiva che non conosce cali, parola d’ordine picchiare duro tanto in studio quanto dal vivo, strizzando un occhio al britrock degli anni novanta, il che non mi dispiace affatto dal momento che forse è stata l’ultima decade che abbia prodotto qualcosa di nuovo in ambito rock.
Bellissimo l’intro di Another Time, la quinta traccia, dove la mano di Luca Mangano si fa sentire pesantemente e l’assolo di chitarra è da manuale, mentre Breakaway colpisce per la semplice struttura indierock, con i suoi accordi di chitarra martellanti e un testo tanto scarno quanto efficacie nel restarti in testa, come ogni hit che si rispetti deve fare.
Ed eccoci alla titletrack, Mindtrap, il mio pezzo preferito, per la batteria che tuona come un tamburo di guerra, quasi un richiamo alle armi, che in questo caso sono note sparate sul campo di battaglia, il palcoscenico, da riff di chitarra che sono letali come raffiche di mitra.
Chiudono: Knockit Back, traccia blueseggiante in stile seventies, con una ritmica di chitarra che a tratti mi ricorda quella dei Doors e, per la prima volta nel disco,l’ingresso in sottofondo di fiati, e Behind a Locked Door, l’unica ballad dove le distorsioni lasciano il posto, almeno all’inizio, a suoni acustici.

Voto: 10/10

Album non adatto ai timpani delicati e ai cuori deboli, se avete amato il sound crunchoso degli anni novanta non può mancare nella vostra libreria, in più è una bella scarica di adrenalina per la scena musicale nazionale e, se queste sono le premesse, il successo non tarderà ad arrivare per Lucà e soci.
Tra i migliori gruppi italiani ascoltati negli ultimi mesi, insieme a Be The Wolf e Siberia mi fanno ben sperare per il futuro della nostra musica.