R E C E N S I O N I
Articolo di Giovanni Carfì
Note di merito per album passati distrattamente in secondo piano, ma meritevoli di un loro piccolo spazio. Nell’impossibilità di raccontare tutto ciò che viene prodotto, una selezione di dischi con confronti senza vincitori, né punteggi; ma con la presunzione di restituire una sensazione il più immediata possibile, attraverso un’analisi che va oltre le solite stellette.

Storie che entrano ed escono da immaginari distanti e paralleli; a volte il contenitore sono le mura di casa, altre sono le rive di un fiume “ubriaco”. Mauro Caviglia con voce e chitarra, è il narratore principale, sostenuto e supportato dalle percussioni di Gian Piero Morfino, il loro sound non ha nulla di tecnologico, ma si affida alla visceralità e all’espressività che traspare da ogni singola traccia.

Questo disco è solo l’ultima tappa di un progetto musicale ideato da Emanuele Durante. Approda nel 2015 a Londra, dove la musica prende forma e viene portata sui palchi. Ma sarà il ritorno in Italia due anni dopo che favorirà la nascita dell’album di debutto. Una sensazione di serenità e leggerezza, nonostante le tematiche che affrontano quel filo difficile da tagliare alla fine di una relazione.

Arrivano dalla Valtellina, ma il loro mondo musicale è più alto, almeno per quanto riguarda l’ispirazione. Significati matematici e metafore astrali per raccontare un viaggio introspettivo, attraverso distanze e chitarre che danno vita ad un rock energico e dalle strutture mai banali; una voce che richiama band a cavallo del cambio di millennio, ma il tempo e lo spazio in questo caso non sono rilevanti.

Biograficamente non traspare molto su di loro, probabilmente vogliono che l’attenzione si focalizzi solo sulla loro musica. Prendete la pesantezza del metal, incursioni elettroniche e batterie al limite dell’hard-core, un pizzico di scream ed eccovi serviti. Di sicuro impatto e dalle sonorità abrasive e isteriche; un mix ben strutturato dove il cantato italiano regge perfettamente, senza dover scimmiottare nessuno.

Dietro i tasti bianco neri, le mani di Volker Bertelmann, che torna alle origini della sua formazione musicale attraverso il pianoforte. Un amore nato in una chiesa e portato avanti con dedizione, per poi assumere e trasformarsi in varie forme, dal rock all’hip-hop. Eccoci davanti ad una serie di tracce che ci portano in un ambito classico/cinematico, attraverso una genuinità sia nella composizione che nell’esecuzione.

Un trio molto particolare, capitanato dalla presenza vocale di Arianna Colantoni e dai suoni ricercati e sperimentali di Mario Ferro e Giordano Treglia, che insieme si divertono ad imbastire strutture ritmico/percussive. Si passa così da una traccia all’altra, come in un viaggio dove lo stupore dato dall’esplorazione ci rapisce ad ogni nuova tappa sonora.

Souvenir, come quelli che decidiamo o meno di acquistare, ma rapportato al proprio personale, a ciò che di noi vorremmo “ricordare” a distanza di tempo. Questa è l’idea che sta dietro ad un progetto che vede protagonisti quattro amici, che insieme decidono di condividere e mettere in musica le loro esperienze. I richiami “ministrici” sono abbastanza palesi, ma riescono comunque a mantenere una loro personalità ed energia.

Analogico, elettronica e synth anni ‘70; la particolarità sta nell’uso che ne fanno, miscelandoli in modo potente e incisivo. Loro sono un trio composto da Fabio Larosa, Marco Benedicenti e Bruno Cappellini, sono i detonatori del progetto, nel quale trova spazio una matrice rock, arricchita da estremizzazioni elettroniche che spesso prendono il sopravvento, trascinando il tutto, ascoltatore compreso.
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