A R T E – M O S T R E


Articolo di Mario Grella

“…Ho una sensibilità da XIX secolo…”
È lei stessa ad affermarlo in un video a corredo della magnifica mostra del Jeu de Paume di Parigi aperta fino al 22 settembre prossimo. Sally Mann non è la solita brava fotografa, forse non è nemmeno una fotografa, Sally è una poetessa della fotografia, come potevano esserlo stati André Kertész, Alfred Stieglitz o Joseph Sudek. Le sue sono fotografie fortemente elegiache ed esplorano temi fondamentali dell’esistenza: la memoria, la morte, i legami famigliari, l’indifferenza sovrana della natura. I suoi luoghi d’elezione sono pochi migliaia di ettari di territorio nel sud-est degli Stati Uniti, dove è nata nel 1951, una terra alla quale è profondamente legata e nella quale attraverso le sue eccezionali fotografie, riesce a cristallizzarla come fosse un intero universo senziente.

Sally Mann

È lei stessa a suggerirci attraverso le parole del poeta scozzese John Glenday che “l’anima va mille volte avanti e indietro, il cuore una volta sola” e chi vuole intendere, intenda. In quel sud-est americano, poco distante da Lexington dove nacque, trovano posto anche tutti gli affetti famigliari a cominciare da Emmett, Jessie e Virginia, i suoi tre figli, ritratti spesso senza sentimentalismi, ma evidenziandone la bellezza, la tenerezza e anche la sensualità.
Frutto della sua ricerca sul paesaggio sono le eccezionali serie fotografiche dedicate alla terra, al bosco, al fiume, quando Sally Mann, al principio degli anni Novanta decide di spingere la sua ricerca anche in Georgia, in Louisiana  e in Mississippi. Ma non si tratta solo di innocenti paesaggi, Sally sonda il suolo americano, cerca e si interroga su come quelle terre che sono state teatro delle più sanguinose battaglie della Guerra di Secessione americana, possano conservare in loro un sussulto, un palpito, una memoria fantasmatica di tutte quelle dolorose vicende.



Quelle terre che negli anni dello schiavismo furono intrise anche del sangue di tanti afro-americani, in questo senso basti ricordare anche le serie fotografiche che ritraggono Virginia “Gee Gee” Carter, che fu per cinquant’anni al servizio della famiglia di Sally Mann. Insomma una terra che racconta, testimonia, evoca sebbene in modo misterioso e poetico, l’agire degli uomini.
In realtà è un espediente tecnico ad aiutarla nella creazione di una fotografia di grande forza evocatrice; si tratta del collodio, un liquido legante per le emulsioni che tende ad “antichizzare” la fotografia.
Non storcete il naso perché Sally Mann non è una stupida, né un’ingenua ed usa la sostanza con una consapevolezza estetica sorprendente e con risultati di una poeticità assoluta.
Il Jeu de Paume è sempre un “buen retiro” per chi ama la fotografia, in tempi di selfie e di “selfisti” è meglio ricordarsene e correre qui appena si può.

La mostra è visitabile fino al 22 settembre 2019.
Per informazioni Jeu de Paume