C I N E M A
Articolo di Mario Grella
Che i clown non fossero tutto quel pozzo di allegria che invece sembrano essere era cosa risaputa; spesso il clown lascia trasparire quel velo di malinconia che lo rende più vero, più vicino a noi. Ma che i clown potessero diventare tanto cattivi e tanto motivati nella loro cattiveria, lo si scopre solo vedendo Joker di Todd Phillips. Del resto anche il nemico giurato di Batman non era uno stinco di santo, ma a Todd Phillips riesce anche l’impossibile, cioè far diventare Joker un personaggio, non solo realistico, ma quasi reale.
Arthur Fleck lavora come pagliaccio di giorno e come cabarettista di notte in una Gotham City, che è tale e quale alla New York degli anni Ottanta del sindaco Ed Koch, quella dei sette omicidi al giorno e del Bronx in fiamme per intenderci.
Joker è due volte vittima, lo è della sua follia privata, ma lo è anche della follia di una società spietata, fatta dei soliti ingredienti di cui sono fatte le società esasperatamente capitaliste: competizione, arrivismo, indifferenza. Come da migliore tradizione narrativa e cinematografica, Arthur Fleck decide di farsi giustizia da solo e, come spesso accade, i giustizieri fanno proseliti tra le masse e qualche volta sono le stesse masse urbane a diventare protagoniste della rivolta.
È già successo in “Metropolis” di Fritz Lang, ma succede anche nella realtà, dal “tumulto ‘de ciompi” alle “brioches” di Maria Antonietta, per poi magari finire ai “Gilets jaunes” o magari ai rivoltosi di Hong Kong.
Grandissimo film che pur brillando di luce propria, deve molto alla storia del cinema; tanti i “credits”, tre sicuramente: Taxi Driver di Martin Scorsese per la “mission”, Qualcuno volò sul nido del cuculo per la tematica, Eyes Wide Shut per la “location”.
Colonna sonora superlativa ed impegnativa di Hildur Guðnadóttir, e infine un Joaquin Phoenix nei panni di Joker, al di là di ogni concepibile bravura.
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