R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

Takuya Kuroda è un trombettista giapponese di Kobe che ha studiato jazz alla “New School” di Union Square a New York City, uno spirito inquieto e un ricercatore musicale dinamico e curioso, attratto non solo dalla musica in senso stretto, ma dall’intero universo sonoro e questo suo nuovo album, Fly Moon Die Soon, non fa che confermarlo. Non è una novità che il jazz sia divenuto un genere musicale senza una precisa codifica, e le famose “contaminazioni” lo hanno portato su una strada che, se non è difficile seguire da un punto di vista sonoro, è certamente molto più arduo sul piano linguistico. Termini come “hard-bop”, “groovy classico” o “funk e hip hop contemporanei”, significano ormai poco e risultano essere più etichette di comodo che non descrizioni plausibili di ciò che si va ad ascoltare. Nell’ottica della catalogazione è evidente che è comunque il grande respiro groove a fare da collante ad una interessantissima serie di input musicali. 

Con questa convinzione mi metto spesso all’ascolto di un disco e così ho fatto con questo magnifico lavoro del musicista nipponico, che lui stesso definisce come un album che parla “dell’ironia tra la grandezza della natura e la bellissima oscenità dell’umanità”. Parole suggestive e misteriose, ma che si possono facilmente corroborare dall’ascolto. Un modo di comporre non tradizionale che fa grande uso di ritmi, campionamenti, sovraincisioni e altre diavolerie elettroniche. Una belle truppa quella che ha lavorato a questo esperimento: insieme alla multiforme tromba di Takuya Kuroda ecco Corey King al trombone e voce, Craig Hill e Tomoaki Baba al sax tenore, Tekeshi Ohbayashi e Chris McCarthy alle tastiere, Rashaan Carter, Todd Carter, Solomon Dorsey, Burniss Earl Travis e Yasushi Nakamura al basso, Adam Jackson e Zach Mullings alla batteria, Takahiro Izumikawa al piano Rhodes, Saotoshi Yoshida e Ryo Ogihara alla chitarra, Keita Ogawa alle percussioni, Manami Kakudo, Alina Engibarya e Paola Arcieri alla voce. Ma qual è l’ABC (titolo del secondo pezzo dell’album), della musica di Takuya Kuroda? Il ritmo e la sua variazione infinita? Non solo, perché non di solo groove è composto il suo lavoro, ma anche di una sapiente dissolvenza e trasmutazione di questo in qualcosa di diverso, sfumato, lievemente mutageno, anche grazie all’apporto della bella sezione vocale che dà prova di sé già nelle prime dissolvenze (Fade appunto) e non cessa di stupire fino a Sweet Sticky Things, un po’ jazz e un po’ groove, come si conviene. Molto particolare la gestazione di questo eccellente lavoro, come spiega lo stesso Kuroda: “…Tutto era basato sui miei ritmi che ho fatto a casa, invitando i musicisti uno per uno, aggiungendo o sostituendo parti. Sono stato molto attento nello sviluppare questi brani; solo nota per nota, parte per parte. Volevo fare la musica in modo efficace da una miscela di due diversi metodi di registrazione; una parte prodotta in modo molto agile e una parte molto organica suonata da musicisti dal vivo…” Queste parole possono dare l’impressione di qualcosa di molto costruito, ed infatti la musica di Takuya Kuroda è molto ben progettata ed altrettanto magistralmente costruita; in fondo anche Filippo Brunelleschi progettava nella bottega la sua imponente bellezza. Un colpo forse all’idea romantica e neo-romantica dell’estro e della sregolatezza. Cercare di “ammazzare il chiaro di luna”, almeno ogni tanto, è sempre una buona regola. Saper fare musica significa anche montare e smontare, assemblare, limare se occorre. Impegno notevole, risultato ottimo come si può giudicare solo dopo un ascolto attento.

Tracklist:
01. Fade
02. ABC
03. Change
04. Do No Why
05. Fly Moon Die Soon
06. Moody
07. Sweet Sticky Things
08. Tell Me A Bedtime Story
09. TKBK