R E C E N S I O N E
Recensione di Arianna Mancini
Contaminazione, policromatismo e totale apertura creativa. Alcune fra le molteplici chiavi d’accesso con cui aprire Scenario, terza dimensione sonora d’inediti dei C’mon Tigre, uscita lo scorso 25 marzo per Intersuoni.
Prima di entrare in questa foresta multi-fonica, facciamo qualche passo indietro, torniamo alle radici. La tigre: il predatore alfa, un animale affascinante, dalle mille sfumature, sempre all’erta, pronto ad inabissarsi ed esplorare, scoprire, catturare. Un’esortazione allo slancio si affianca, caricando d’ulteriore significato simbolico il nome, che il duo anonimo anconetano ha dato a questo progetto artistico. Una formazione in affascinante bilico fra tradizione, sperimentazione e moltitudine che trova la propria identità nell’aprirsi a musicisti provenienti da tutto il mondo, che si espande e si mescola come il manto striato e mai uguale di una tigre. Una realtà creativa in cui più che l’individuo a parlare è la pluralità dei musicisti coinvolti, i punti di vista ed esperienze diverse; un magma libero in continuo mutamento. Apertura e collaborazione, un progetto artistico a 360 gradi che mescola più generi, fino ad abbracciare le arti visive. Un linguaggio che si rivolge alla collettività a livello globale.

L’opera prima del collettivo “Tigre” risale al 2014 con l’album omonimo C’mon Tigre. I due cofondatori, che preferiscono tutt’ora rimanere anagraficamente nell’anonimato, danno il La al progetto coinvolgendo una folta schiera di musicisti di varia estrazione e provenienza e ampliando il loro raggio d’azione alle arti visive, producendo nello stesso anno, anche due film d’animazione, Fédération Tunisienne De Football di Gianluigi Toccafondo e A World Of Wonder di Danijel Žeželj.
Il 2017 vede l’uscita dell’EP Elephant RMX di DJ Khalab e Populous e nel 2019 esce il loro secondo lavoro d’inediti Racines, che li riconferma come collettivo multiforme (i video musicali dei singoli Underground Lovers, Mono No Aware e Behold The Man sono stati premiati in svariati festival internazionali di cinema) dal ruolo sempre fluido dei suoi musicisti e dalle sonorità in continuo divenire.
La libera coerenza del progetto si ripresenta oggi con Scenario, il collettivo delle Tigri ci porta ancora una volta lontano. È uno status sonoro sempre in viaggio, trova la sua ragione d’essere in un’apertura geografica che parte dal bacino del Mediterraneo per toccare ed estendersi alle terre d’Africa, Nord e Sud America, Medio Oriente. Un ponte fra electro-jazz e ethno-soul in cui sotto scorrono flussi di psichedelica, afrobeat, hip-hop, funk e disco.
Un album composto da dodici brani, o meglio dodici racconti sonori, le cui sfumature attraversano il globo ed i generi musicali, e che ci svelano uno “scenario” del mondo e dell’essere umano con le sue infinite sfumature. Uno scorcio che, come presentano i due cofondatori “vuole raccontare ciò che ci definisce come essere umani: la gioia, la fratellanza, la rabbia, il senso di appartenenza, il dolore, l’angoscia, la violenza, la dignità. I brani di quest’album sono dei piccoli spaccati di realtà, tutt’altro che immaginifici, sono racconti di un osservatore con l’orecchio teso”.
Come già menzionato, il livello narrativo con i C’mon Tigre si articola sempre su due piani intimamente interconnessi, musica e immagini, il legame è ormai indissolubile. La componente visiva dell’album trova in Scenario il suo pieno compimento a partire dal vinile in special edition impreziosito dal libro con gli scatti di Paolo Pellegrin, che hanno ispirato la scrittura del disco. Uno sguardo lucido ed antropologico volto a documentare ed approfondire le condizioni di vita caratterizzate da dolore, povertà, violenza. Altra doverosa menzione va al video di Twist into Any Shape You Know, (candidato al Festival International du Film d’Animation d’Annecy) di Donato Sansone, in cui la componente irrazionale si mescola ad elementi bizzarri per veicolare l’idea di trasformazione e mutamento; e al video di No One You Know di Danijel Žeželj che ci racconta, in un malinconico bianco e nero, di solitudini che si sfiorano senza incontrarsi mai in una metropoli deserta, in cui l’unica speranza è relegata ad un aquilone che sparisce nello skyline e stormi di uccelli che si librano nel cielo.
Deserving My Devotion apre l’album, breve intro strumentale di poco meno di un minuto, lo strumento a corda si palesa in solitaria bellezza nostalgica, a cui si unisce poco più tardi un timido sintetizzatore. “Meritevole della mia devozione”, è un suggerimento? Dovremmo forse tutti imparare a scindere ciò che la merita veramente.
Dall’intro d’impatto riflessivo si passa al mutamento, con Twist into Any Shape. Flussi che pullulano fra tappeti di musica elettronica, fiati ed echi di terre d’Africa. “Twist into any shape you’d like to be”, canta, come un mantra, il ritornello. L’energia è nell’aria, è un’incitazione alla danza, al mutamento che ci fa rinascere assumendo una nuova forma, quella che si desidera. Una danza collettiva di metamorfosi e rinascita è sicuramente un buon auspicio e ciò di cui tutti, forse, abbiamo urgente necessità.
Le vibrazioni fluiscono ancora viaggiando attraverso il globo con Kids Are Electric, sulle cadenze ritmate del forró brasiliano che si apre a gocce di musica elettronica e aromi africani, la sintesi degli opposti è possibile, una vera rivoluzione, quindi… “don’t be afraid”, come suggerisce una strofa del brano.
Ecco Supernatural, pervasa di una leggerezza sognante baciata dalla luna, con i suoi ritmi sincopati e suadenti avvolti di morbido velluto; arriva poi Automatic Ctrl che esonda con ampiezza eterea, una ballata in cui elettronica e tradizione varcano i confini del possibile, raccontandoci di un amore fra un essere umano e un’intelligenza artificiale.
Il racconto di No One You Know, fra luci soul e afro-beat, è affidato alla voce narrante di Xenia Rubinos, che ha scritto il brano. Viviamo tutti nello stesso mondo ma isolati: “We are all stranger and familiar”.
Una nebbia di distruzione avvolge il pezzo seguente, Burning Down, che con il suo breve lampo di durata fa pensare ad un cortocircuito.
Migrants con il suo fluire evocativo, minimale e denso di cruda attualità ci riporta al lavoro fotografico di Paolo Pellegrin e in The River, una voce carica di riverbero con gli archi che tengono alto il climax, ci racconta una storia d’amore e morte, la sopravvivenza del più forte. Di nuovo l’acqua torna in La Mer et l’Amour, una ballata fra dance, funk ed etnismi, siamo davvero in viaggio per il globo. È una meraviglia!
Siamo quasi a fine tour, Flowers in My Spoon, scritta con e affidata alla voce di Mick Jenkins ci porge atmosfere velate da un hip-hop jazz metropolitano, un invito a preferire la rilassatezza all’incessante frenesia, gustando un cucchiaio pieno di fiori.
Sleeping Beauties conclude la raccolta di racconti sonori, celebrando un rave con un’alba elettronica baciata dal carismatico tocco di sax di Colin Stetson.
Scenario è una realtà in cui si respirano luoghi. Le sonorità nel suo divenire prendono corpo per diventare una corale voce narrante, che frantuma l’ego ed i confini di genere. Un terzo atto in cui il collettivo C’mon Tigre brilla luminoso nel suo magma caleidoscopico e mutevole. Umori, colori, sensazioni in continuo cambiamento, qualcosa di potente, che porta lontano.
Tracklist:
01. Deserving My Devotion
02. Twist into Any Shape
03. Kids Are Electric
04. Supernatural
05. Automatic Ctrl
06. No One You Know (feat. Xenia Rubinos)
07. Burning Down
08. Migrants
09. The River
10. La Mer et l’Amour
11. Flowers in My Spoon (feat. Mick Jenkins)
12. Sleeping Beauties (feat. Colin Stetson)
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