R E C E N S I O N E


Recensione di Andrea Notarangelo

Korobu è la ragione sociale di un trio bolognese al suo debutto. La band è composta da Giallo, Alessandro e Christian che, attivi già da una decina d’anni nell’ambiente musicale, hanno deciso di far convergere le proprie passioni in comune per l’indie rock e per la ricerca meticolosa di strumenti, per dare vita a un suono unico e difficilmente etichettabile. La scommessa paga. Abbiamo a che fare con una proposta davvero interessante e coinvolgente che pesca da quanto di meglio si possa attualmente trovare nell’ambiente alternative, come ad esempio band quali TV On The Radio e Liars, per mescolarlo ad esperienza più datate, quali ad esempio quella dei Can e dei Talking Heads. Il risultato è Fading Building, un mondo alieno apparentemente disabitato, ma che nasconde creature vive che hanno imparato a dialogare con le proprie macchine e vivono in una perfetta armonia.

Il disco è ben bilanciato e se in apertura, con Weird Voices, ma anche in Get Lost lo spettro dei Radiohead di Amnesiac sembra far capolino (la voce calda e le strutture meccaniche ricordano vagamente Packt Like Sardines In a Crushd Tin Box della band di Oxford), è in esperimenti più ritmati e circolari che si possono ritrovare determinate coordinate. Chi si ricorda dei Beta Band? Con una differenza sostanziale. In quel caso la band scozzese lavorava molto di campionamenti per creare un effetto spaesamento; nel progetto nostrano invece, tutta la parte strumentale è opera originale del terzetto: dai ritmi ossessivi di Christian e le sue percussioni elettroniche, ai synth di Alessandro e Giallo. Ogni trio ha dalla sua un certo fascino e gli ascoltatori più attenti valutano quanto la band sia in grado di rivestire il proprio suono nonostante il numero risicato degli attori messi in campo. Nel caso specifico però, si è agito per sottrazione ed è evidente per chi scrive come semplici canzoni, dopo essere state eseguite più e più volte in una forma tradizionale di chitarra, basso e batteria, siano state rielaborate per ottenere un suono unico e caratteristico.

Non si può non restare rapiti da un brano come Interstellar, un viaggio fantascientifico nel quale frammenti di voci giocano a nascondersi e rivelarsi in suoni usciti direttamente da un videogioco anni’ 80. On The Edge, il pezzo successivo, ti accoglie con un testo astratto (“Give me back your soul, give us back your dream, give us back your soul, what’s your daily meal“), che culmina nel momento in cui inizi a tenere il tempo con il piede. Quando il ritornello ossessivo We don’t care ti martella in testa è già troppo tardi e ti ritrovi definitivamente rapito dal progetto bolognese.

È la conclusione di un percorso che non vedi l’ora di rifare, un viaggio della giusta durata, che ti fa venire voglia di schiacciare nuovamente play nel lettore e abbandonarti all’esplorazione di una nuova galassia. 

  

Tracklist:
01. Weird Voices
02. Roads
03. Dropped Pleasure

04. Get Lost
05. Tongue on Tongue
06. Even Today
07. Interstellar
08. OnThe Edge