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Articolo di Luca Franceschini.

Emidio Clementi è la voce e l’anima letteraria dietro ai Massimo Volume ma è anche molto di più di questo. Si era già impegnato in alcuni progetti paralleli negli anni immediatamente successivi allo scioglimento della sua band (vedi “Stanza 218” di El Muniria) ma anche adesso, tornati in pista da ormai cinque anni con due dischi meravigliosi, probabilmente per non rischiare di inflazionare troppo la loro presenza sulle scene, il bassista e paroliere marchigiano sta mettendo la creatività al servizio di altre idee.

E così, dopo il bellissimo “Notturno Americano“, che raccoglieva in forma di reading musicale la suggestiva vicenda di Emmanuel Carnevali già raccontata nel libro “L’ultimo dio”, arriva anche questo “La guerra di domani“, che esce sotto il monicker di Sorge.
La genesi del progetto è stata spiegata dallo stesso Clementi già diversi mesi prima dell’uscita del disco. Se qualcuno se la fosse persa, la cosa è semplice e affascinante al tempo stesso: venuto in possesso in maniera fortuita di un pianoforte verticale, Mimì (come lo chiamano gli amici) decide di iniziare a suonarlo e prende qualche lezione per acquisire dimestichezza con lo strumento. È un musicista, le cose vengono fuori tutto sommato naturali, nonostante le prime difficoltà.
Presto si trova tra le mani una serie di bozzetti melodici, dei piccoli frammenti sonori, quasi dei loop e decide che si può tirar fuori qualcosa. Chiede quindi l’aiuto di Marco Caldera, da tempo fonico live dei Massimo Volume e impegnato nella produzione di “Aspettando i barbari”, ultimo lavoro in studio della band bolognese.
Le parti di piano vengono fuse con un tappeto elettronico minimale e con qualche chitarra a sottolineare certi momenti. Su questa base, Clementi ha poi scritto i suoi testi e “La guerra di domani” era presto che finito.
Musicalmente si tratta di un lavoro omogeneo, poco variato ma senza dubbio affascinante, dove la musica è questa volta prevalentemente al servizio dei testi. Le melodie sono infatti concepite quasi come una colonna sonora, come un accompagnamento perfetto per la narrazione e le immagini che di volta in volta vengono evocate. I loop pianistici sono molto scarni, essenziali, basati sul ripetersi di poche note e donano un carattere ossessivo e spesso inquietante ai vari ambienti.
Da questo punto di vista, certe atmosfere sono simili a quanto fatto dai Massimo Volume, anche se mancano gli intrecci di chitarra e i martellamenti della sezione ritmica che negli anni li hanno resi così caratteristici.
È un lavoro che ruota attorno ai testi, dicevamo. E ancora una volta, occorre dirlo, Clementi si è superato. La sua forza evocativa nell’uso delle parole, la potenza con cui riesce a caricare ogni singolo frammento lirico, l’efficacia visiva con cui si materializzano le sue immagini, è da sempre il suo marchio di fabbrica ed è ciò che lo ha reso di gran lunga il paroliere più interessante della scena italiana.
I testi di Sorge (dal nome di una famosa spia sovietica giustiziata dai giapponesi durante la Seconda guerra mondiale) sono anch’essi intrisi, come molte delle creazioni di Clementi, di una scarna quotidianità che a tratti fa però intravedere lampi di un assoluto non così facilmente comprensibile. Sullo sfondo si dibattono personaggi che sembrano appesi ad un filo, perennemente in bilico tra la realizzazione dei propri desideri ed il precipitare nell’abisso della sconfitta; intrappolati in un’immagine che provano a difendere ma nello stesso tempo desiderosi di abbracciare una dimensione più autentica della propria esistenza.
C’è tanta autobiografia in queste canzoni (Mimì non ha mai nascosto di sapere scrivere soprattutto delle cose che conosce meglio, cioè quelle che ha vissuto): si parte da “Hancock 96”, sorta di trasfigurazione “Scorsesiana” del recente viaggio fatto a Chicago per la rappresentazione di “Notturno Americano” (“Attorno a un tavolo all’ultimo piano stasera beviamo, alla faccia di chi ci deve i quattrini, alla faccia di quelli a cui li dobbiamo, a questo mondo spietato che non accetta più cambiali, né pagherò, né pagherei, né la vecchia e cara stretta di mano. Stasera però beviamo: abbiamo un tavolo prenotato da Hob, da Sax, da Weegee’s, da Louie, da Wit e infine quassù in alto all’ultimo piano, e tra un cocktail e l’altro un discorso accennato, teniamo in ordine i conti, le entrate, le uscite, le spese, i risparmi, i diritti ceduti, le royaltie accumulate, per poi realizzare che i dividendi non bastano a prenotare una stanza per più di una notte all’Allerton Plaza”).

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Poi c’è “Nuccini” che, come dice chiaramente il titolo (Corrado Nuccini è il chitarrista dei Giardini di Mirò, che ha accompagnato in lungo e in largo Mimì nella tournée di “Notturno Americano” e che ha suonato sul disco stesso) gioca ad evocare piccole ed affascinanti istantanee, quasi cartoline eteree e simboliche dalle varie città italiane dove è avvenuta la presentazione di quel lavoro (“Sai anche tu di una strada in centro a Messina, dove Cristo riposa con le perle al collo e le labbra da bambina, di gente appesa a un palo nella piazza di Forlì, prima che il palco andasse a fuoco una sera d’estate a metà dei bis; le senti, Corrado, a Cassino, le voci dei morti o è solo l’impianto che distorce le voci?”).
Poi c’è “Il cerchio”, che col suo ritmo incalzante narra di cose che si spezzano e di destini che cambiano nel giro di un attimo (“Ma la vita cambia in un istante, il cerchio si spezza, il fuoco si spegne, la notte si accomoda dove prima c’era la quiete; se non ci credi un giorno te ne accorgerai, se non t’è mai successo è che meglio che lo sai, se non ci credi un giorno te ne accorgerai, se non lo hai capito presto lo scoprirai.”).
“Bar Destino” è una lunga galleria di personaggi provenienti dalla vita di Clementi, tutti riuniti in una sorta di luogo surreale e simbolico che sembra situato quasi ai confini del tempo (“E per primo entra Emanuele e si siede in disparte, i libri di scuola mai aperti, immacolati e guarda lontano, oltre il molo e lo stadio, la strada che io ho preso e lui solo sognato. Sandra distratta, Ben con un inchino, Giorgio al bancone che beve e che dice: “Esiste un confine, una linea che divide la vita che funziona da quella che uccide.”).
“Accetto tutto” gioca sull’idea della disponibilità che bisogna avere per stare di fronte ad ogni aspetto e circostanza della vita, e riesce anche a prodursi in una ironia inusuale per lui (“Accetto la rabbia, le paure, Toffolo, Manuel e i Massimo Volume”) nell’inserire, nel lungo elenco su cui è giocata la canzone, anche la sua band e due dei suoi più cari amici musicisti.
Poi c’è “Noi facciamo ciò che siamo”, uscita come primo singolo: uno scuro e malinconico dialogo con alcuni dei riferimenti culturali di Clementi, un tentativo di trovare nella letteratura le risposte al vuoto e alla mancanza che tutti ci portiamo dentro, “il grido stonato di un artista minore, non più giovane, che di colpo ha visto il mondo vacillare, che di colpo ha colto il vuoto in uno specchio ” (“Ho scritto a Lowell e a Philip Roth, a Mavis Gallant e a quel che resta di Francois Villon, ho chiesto: “Maestri, per favore voi che siete lassù in alto datemi una mano, una ragione per sconfiggere questa cosa che mi rode, come i denti acuminati di una belva attaccata al centro del mio cuore, lì dove mi fa più male”).
Poi il quadro pittoresco e insieme drammatico di “In famiglia”, il brano più autobiografico di tutto il lotto, che riprende e in qualche modo approfondisce la carrellata dei parenti che era già presente ne “L’ultimo Dio”.
Sorge è un lavoro ben riuscito e suggestivo, sicuramente più interessante come ulteriore apertura all’universo letterario di Emidio Clementi, piuttosto che come progetto musicale in sé e per sé. Non fraintendetemi: le tracce sono tutte godibilissime e alcune intuizioni melodiche sono davvero molto valide, però è evidente che la ricerca musicale intrapresa coi Massimo Volume rimane un’altra cosa.
Da questo punto di vista, è peraltro un peccato che la voce sia a volte mixata un po’ troppo dentro gli strumenti, impedendoci di seguire interamente il filo del testo. Dall’altra parte però, è bello constatare i notevoli passi avanti compiuti dal bassista in fase di dizione e recitazione, con la sua voce che ha raggiunto livelli di espressività veramente alti.
Attendiamoli dal vivo ma nel frattempo chiunque ami già i Massimo Volume, o soprattutto chi non conoscesse ancora Emidio Clementi, farebbe bene a mettere le mani su questo disco. Poi chissà, potrebbe essere che questo non rimanga solo un progetto estemporaneo ma che avrà un seguito e una consistenza propria negli anni a venire. Credo però che sia presto per dirlo, per il momento concentriamoci su questo lavoro.

Tracklist:
01. Hancock 96
02. Nuccini
03. Il cerchio
04. Bar destino
05. Vera in cucina
06. Accetto tutto
07. Noi facciamo ciò che siamo
08. La spiaggia
09. In famiglia
10. Quello che ho perso